Dall’alto dei suoi 1682 metri sul livello del mare, il Monte San Primo domina i due rami del Lago di Como. Non è la vetta più alta del Lario, ma sicuramente è la più panoramica, con lo sguardo che spazia dalla Valtellina al capoluogo, le Grigne tanto vicine da sembrare a portata di mano e una quiete travolgente se si pensa che, poco più sotto, d’estate ma non solo tutto è dominato dai numeri di un turismo cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni.
Lì, dove pascolano mucche, capre e pecore e, qua e là, si scorge qualche falchetto far capolino nel cielo dipinto di blu, a piedi si fatica parecchio ad arrivare. In pochi si avventurano sulle orme degli impianti sciistici ormai dismessi; qualcuno in più, invece, sale dal Pian del Tivano, cui si arriva comodamente in macchina costeggiando il Muro di Sormano caro agli appassionati di ciclismo, oppure arrivando da Nesso. Non si tratta di una meta di tendenza; forse proprio per questo mantiene inalterato il fascino d’un angolo da immortalare nella più classica delle fotografie, non certo da spendere in un fugace selfie da dare in pasto ai social.
In principio era stato George Clooney. Il suo arrivo a Laglio aveva portato da subito con sé una notorietà planetaria, accendendo i fari su un pezzo di mondo – il Lago di Como – fin lì certamente apprezzato, ma non al punto di arrivare al “tutto esaurito” registrato nell’ultimo Ferragosto. Numeri da capogiro, trainati soprattutto dagli ospiti americani e da quel Nord Europa che ha riscoperto il Grand Tour d’un tempo in forme e numeri assolutamente impensabili soltanto qualche anno fa. Alberghi d’alto livello, ma anche case-vacanze, bed and breakfast e chi più ne ha più ne metta, con la città cara ad Alessandro Volta che si riscopre internazionale quasi senza volerlo e le sue piazze a riempirsi di voci, colori e, di conseguenza, tavolini perfino a due passi dal Duomo.
Dall’alto del colle che l’ospita, il Castel Baradello in cui soggiornò Federico Barbarossa non è che sfiorato dal boom di presenze in arrivo da ogni parte del mondo, con la funicolare che sale a Brunate quotidianamente presa d’assalto dalle lingue più disparate e i battelli che, pur stracolmi, faticano a soddisfare le richieste dei moltissimi che, giorno dopo giorno, si mettono in coda a due passi da piazza Cavour. È il prezzo da pagare per quello che è stato uno sviluppo repentino, difficile da pronosticare e forse ancor più da gestire, un dibattito che in città scalda da tempo gli animi e che nelle ultime settimane è diventato d’attualità sulla stampa non soltanto locale.
Como, in fondo, di gioielli ne ha davvero da vendere. Per gli appassionati non c’è soltanto il Romanico da gustare, ma anche quel Razionalismo che nel lago ha bagnato i suoi piedi fin dalla nascita; nell’elenco non può mancare la seta, con un museo che ne raccoglie la storia sì un po’ defilato dai percorsi più frequentati, ma comunque degno di nota e, pertanto, meritevole di una visita quando si passa dalla città. Il lago, ovviamente, ne è croce e delizia. Dopo un’attesa ventennale è stato recentemente riaperto un tratto di lungolago. Tanto? Poco? A prescindere dalle posizioni, la vista verso nord è impareggiabile, con le montagne verdi che si gettano in acqua a precipizio e i paesini che guardano a verso la Svizzera a puntellare le rive con le loro casette.
Non tutto, ovviamente, è poesia. I giardini di Villa Olmo, la passeggiata verso Villa Geno, i lidi e la diga foranea offrono uno spaccato unico, da godere possibilmente lontano dal frastuono, quasi in meditazione. Un giro sull’idrovolante, per chi può, è la soluzione migliore per lasciarsi tutto alle spalle e ammirare dall’alto tutta questa bellezza. Meno bene, invece, la spiaggia non autorizzata che – nei pressi del Tempio Voltiano – induce troppo spesso a pericolosi tuffi ove tutto, o quasi, consiglierebbe l’esatto contrario. La cronaca, peraltro, lo dice chiaramente. Inutile andare oltre.
Il Lago di Como non è soltanto la città che fieramente ne porta il nome. Risalendolo, non a caso, si incontra la Cernobbio di Villa Erba e Villa d’Este, la Val d’Intelvi con il suo Balcone d’Italia, Menaggio e la Tremezzina. L’Isola Comacina ne è un’immagine iconica, Villa Carlotta il salotto più prestigioso, la funivia da Argegno a Pigra la porta d’accesso verso percorsi di media montagna adatti ai più. La storia del Novecento guarda a Dongo come simbolo del tramonto del Fascismo, gli amanti del vento all’Alto Lario per gustarsi il lago dal suo interno. Sul lato opposto, Bellagio è quanto di più di tendenza possa esserci. Non è l’omonimo casinò di Las Vegas ad averlo reso noto al grande pubblico; certamente, però, ha contribuito a renderlo una meta irrinunciabile per chi atterra a Milano, a prescindere dalle tappe successive.
Quella che era considerata la riva minore, in realtà, da qualche tempo non lo è più. Blevio, Torno, Nesso e Lezzeno hanno risalito la china a una velocità esponenziale. Che dire, poi, di quella Pognana Lario nella quale Chiara Ferragni e Fedez hanno recentemente deciso di stabilire il loro “buen retiro”, lanciando alla ribalta nazionale un luogo precedentemente tutt’altro che inserito tra i punti da vedere del territorio? Il Lago di Como c’è e, sebbene tutto ciò spinga in alto il costo della vita per tutti gli altri – basta acquistare un gelato, o mangiare una pizza con la famiglia, per comprenderlo – a beneficiarne sono anche le località tutt’attorno, inclusa quella terra tra Brianza e Triangolo Lariano diventata assai comoda per chi, automunito, cerca un punto d’appoggio per poi muoversi liberamente su e giù per il Lario. L’ospitalità, forse, è un concetto ancora da approfondire.
Scorci unici come i laghi di Pusiano, Alserio e Montorfano portano con sé ulteriori opportunità per coloro che non si piegano alla sola logica dell’hashtag. A monte, c’è un’alpe, quella del Viceré, che nel suo stesso nome racconta la storia nient’affatto secondaria di Eugenio De Beauharnais, figliastro di Napoleone e depositario del destino di queste zone all’inizio dell’800. La Vallassina alle spalle è la patria del ciclismo che conta, con il suo Santuario della Madonna del Ghisallo a simbolo di uno sport che nel vicino museo voluto da Fiorenzo Magni trova uno dei suoi templi. Del Muro di Sormano s’è già detto, con il 27% di pendenza massima a mettere a dura prova anche le gambe più allenate del Giro di Lombardia. Da dire e da fare ci sarebbe tanto, e molto altro ancora; a difettare, forse, è proprio la capacità di unire tutto il territorio in un unico racconto – quelli bravi lo chiamerebbero story telling – capace di far passare in secondo piano cadute di stile (dai due euro aggiunti allo scontrino per tagliare in due un toast fino ai 10 centesimi in più per una spolverata di cacao sul cappuccino) che pur a volte fanno capolino in una zona scoperta poco fa dal turismo di massa e, proprio per questo, non ancora del tutto preparata ad affrontarlo nei modi dovuti.
Sull’altro ramo del Lago di Como, invece, c’è Lecco. L’Adda che sfocia nel Po disegna passeggiate a piedi e in bicicletta verso la città di Milano, il Resegone incombe sulla città quasi a proteggerla alle sue spalle, il belvedere al Pian dei Resinelli fa mancare la terra sotto i piedi a chi lo affronta, così come il respiro a chi da quel punto ammira il paesaggio mozzafiato. Gli angoli da conoscere non mancano, le passeggiate in montagna alla scoperta della Valsassina nemmeno. Sono i luoghi del taleggio, ma anche dello sci invernale a due passi dal Pirellone, oppure delle naturali palestre per quei Ragni che tanto hanno fatto parlare di sé per le loro imprese lungo le pareti di mezzo mondo. Ci sono i luoghi manzoniani, dei Promessi Sposi che tutti in Italia hanno conosciuto a scuola e che, travolti dalle tante proposte che anche il Lecchese sa offrire, passano un po’ sotto piano. Incastonata com’è tra lago e montagna, Varenna è lì a strizzare l’occhio a quanti hanno dell’Italia l’idea stereotipata del Bel Paese dal profumo anni 60, il Fiumelatte studiato da Leonardo Da Vinci nei suoi 250 metri racconta la storia carsica della Grigna che gli dà i natali, il Museo Moto Guzzi di Mandello del Lario richiama alla mente un marchio di straordinaria eccellenza in ambito motociclistico, e non solo. Abbadia Lariana, Lierna, Bellano e Colico hanno nelle loro spiagge scenari impareggiabili, così come il Moregallo e Onno fanno guardando a ciò che offre la sponda opposta. Sempre più su, l’abbazia cistercense di Piona è l’ultimo baluardo prima che il Lario lasci il passo a Sondrio, mentre un passo più indietro l’Orrido di Bellano dà di sé un’immagine che val la pena di essere gustata, così come il Castello di Vezio merita ben più della passeggiata che i più volenterosi possono sostituire all’auto.
In ambito turistico, insomma, è derby vero tra Como e Lecco. Un po’ meno – quantomeno per i Comaschi – è quello calcistico, con il ritorno dei cugini dopo mezzo secolo in Serie B tuttora in attesa dell’ultimo via libera ufficiale. La sensazione che l’aspettativa di questo evento abbia ben più riscontro su “quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno” piuttosto che dall’altra parte è più di una semplice percezione. L’istituzione della provincia di Lecco, in fondo, è arrivata soltanto nel 1992.
Prima di concludere, un passaggio a Brivio è d’uopo per chi poi si sposterà verso la Bergamasca, quando non anche un’attraversata dell’Adda a bordo del traghetto leonardesco di Imbersago. Citazione finale, ma questa volta davvero, per Montevecchia e per le sue tre piramidi, con l’aggiunta di una fetta di mistero a questo racconto, specie se ascoltato all’imbrunire dopo un calice di troppo del vino prodotto sul posto.
