Lampedusa secondo un ipotetico parere, fallace, nel senso letterario, storico e geografico, potrebbe tranquillamente essere l’isola di Circe narrata nell’Odissea di Omero. Essa ha la capacità, magnetica, esoterica, di ipnotizzarti, cambiarti, mutarti in altri esseri, in altra forma. Chi in suide, chi in “ciollaro”, pesce pelagico, chi in uccello migratore, chi in lucertola sotto quelle pietre calcaree.
Saranno gli odori, i profumi di mirto selvatico, menta, rosmarino e finocchietto, sarà quel mare dai colori pazzeschi, assurdi, inauditi. Sarà il vento, che forte o piano spira costantemente da ogni direzione, cangiante e inaspettato, da maestrale a scirocco. Sarà quel sole dardeggiante, senza sosta, senza riparo. Saranno i tramonti su Lampione e le albe dal faro sul crinale dopo l’aeroporto. Sarà quell’aria africana che ti prende la gola appena varchi la porta dell’aereo che atterra su quel fazzoletto brullo di terra in mezzo al Mediterraneo. Oppure lo stupore, dopo la paura di un viaggio infernale, su un barcone putrido, traditi da un mare che da calmo diventa infido e periglioso, dei tanti migranti che sbarcano in un molo a loro dedicato, tra il porto vecchio e quello grande. Anche loro mutano, da africani diventano apolidi, senza patria, fino a quando ad alcuni viene concessa un’identità europea.
Sarà lo “sciatu persu”, l’oscià, la chitarra di Tony Yes, l’andar via di schiena di Baglioni, il volo di Modugno e l’occhio ceruleo di Ciavarro. Saranno i tanti Salvatore, Giacomino, Carmelina, Damiano, soprattutto Manù, l’italiano di origine tunisina, che dopo aver lavorato a Torino per il grande Boniperti qui fondò insieme ai suoi figli il Gemelli, il più noto ristorante pelagico. Oppure è il paese, con quelle facciate chiare, con due strade italiane, via Roma e via Vittorio Emanuele, la strada dei 7 Palazzi, di prima della guerra, che solitari e silenziosi sembrano di guardia a quella cittadina appoggiata mollemente su quella baia, porto naturale millenario. Saranno le sue contrade, labirintiche per il turista, le sue cale, grotte, anfratti, specchi d’acqua che sono dipinti dai colori impossibili da riprodurre. Saranno i suoi abitanti, meticci, differenti, mondo a parte tra zolle tettoniche e continenti.
Sarà che è la Frontiera, vigilata pigramente da Frontex, l’unica sigla europea che conoscono a queste latitudini, il confine d’Europa, quella mitologica fanciulla di Tiro, l’attuale Libano, che venne rapita da Zeus con le sembianze taurine, e portata nell’occidente dell’epoca, l’odierna Creta. Qui finisce l’Italia, l’italiano scritto e parlato è già esaurito da un po’, al tempo di Instagram e Tik Tok. Saranno tutte queste cose e molte altre, che ciascuno che ci è capitato conosce, che racconta anche a coloro che non ci sono stati e forse, dico forse, non ci andranno mai.
Lampedusa ti strega, rapisce, confonde, sfinisce. È Circe in mezzo al Mare, quello Nostrum, di noialtri, di coloro che si vogliono perdere e di quelli che si vogliono ritrovare.
