Lavoro, in Italia quasi 2 milioni di disoccupati e 12 di inattivi. Nannicini: “Il mercato premia solo l’anzianità. E si dimentica il welfare”

TOMMASO NANNICINI ISTITUTO UNIVERSITARIO EUROPEO

«Più welfare e condivisione della cura per liberare le energie delle donne nel mercato del lavoro». È in sintesi la ricetta di Tommaso Nannicini, docente di economia politica all’Istituto Universitario Europeo, già senatore e tra i padri del Jobs Act, economista tra più attenti alla questione di genere. Per capire il tema occorre partire dai dati. In Italia le persone in cerca di occupazione sono circa 1,7 milioni. Ben di più gli inattivi, che si attestano oltre quota 12 milioni, arrivando a rappresentare quasi un terzo della popolazione in età lavorativa. A crescere di più tra gli inattivi è la quota di donne che rinunciano a lavorare adducendo motivi familiari. Un quadro che interroga profondamente l’Italia, Paese maglia nera in Europa per l’occupazione femminile, che non arriva al 54% (ben 13 punti percentuali al di sotto della media europea).

Professore, i dati Istat ci dicono che in Italia il problema è soprattutto l’inattività e che molta parte consistente della categoria degli inattivi sono donne che rinunciano a lavorare per motivi familiari. Come si affronta questa situazione?
«Bisogna liberare la metà della forza lavoro del nostro Paese dal peso esclusivo della cura, che riguarda la famiglia e in particolare i figli. Non è un tema solo italiano, ma da noi assume tratti particolarmente gravi. In molti Paesi si è passati dal paradigma della “conciliazione vita-lavoro”, che tende a creare le condizioni perché le donne continuino caricarsi tutto il peso della cura, al paradigma della “condivisione”, in cui tutti gli adulti si fanno carico della cura, responsabilmente. È un cambio di paradigma con risvolti economici importanti, perché liberare le energie femminili nel lavoro vuol dire rilanciare produttività e crescita».

A che punto siamo a riguardo?
«L’Italia deve compiere un doppio salto: recuperare i ritardi nel welfare – dai servizi all’infanzia ai sostegni economici, ancora insufficienti e disomogenei – e al tempo stesso spingere verso la condivisione».

In questo senso il congedo paritario obbligatorio è tra le proposte che arrivano dal libro “Genitori alla pari”, scritto a quattro mani con Alessandra Minello.
«Oggi una madre sta a casa cinque mesi, il padre solo dieci giorni. Il messaggio che arriva è che la cura è “roba da donne”. Se invece stabiliamo per legge un congedo obbligatorio di cinque mesi per entrambi, il messaggio cambia: la cura è condivisa. Non basta, certo, ma partire è fondamentale. E non si tratta solo di equità. È una questione di efficienza economica. Aumentare l’occupazione femminile significa salari più continui, più consumi interni, più PIL. Se il Paese non è pronto culturalmente, serve un’azione coraggiosa».

Occorre che la politica si intesti questa battaglia?
«Serve coraggio. In Italia si va in tv a sostenere l’occupazione femminile, ma se non affrontiamo il nodo della condivisione dei compiti di cura e degli strumenti di welfare ci si limita alla retorica. Il Paese ha due grandi serbatoi di crescita estensiva: donne e giovani. Senza questi, difficilmente ci sarà sviluppo».

Parliamo di giovani. La disoccupazione rimane sistematicamente più elevata per chi cerca il primo impiego. Come facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro?
«Il sistema italiano tende alla gerontocrazia. Occorre superare l’idea di un mercato del lavoro che premia solo l’anzianità. Si può immaginare una tassazione differenziata sulla base dell’età o un reddito di formazione, che accompagni chi ancora studia e costruisce il proprio capitale umano. Oggi invece la spesa pubblica favorisce tutt’altre fasce di età. Anche qui, servirebbe coraggio».

C’è un rischio di frattura generazionale?
«Più che di frattura parlerei di spreco. Il mondo del lavoro ha fame di persone e competenze, non è appropriato pensare i giovani contro gli anziani, c’è spazio per entrambi. Ma se continuiamo a privilegiare politiche che guardano indietro, rischiamo di non costruire futuro. Non è una battaglia generazionale, ma una questione nazionale».

Cresce l’occupazione degli over 50, e la popolazione lavorativa invecchia. Bisogna ripensare il lavoro?
«Bisogna rendere il lavoro sostenibile lungo tutto l’arco della vita. Ripensare le mansioni, progettare percorsi di carriera flessibili, rivedere gli orari di lavoro. C’è un grande tema di “invecchiamento attivo” che riguarda anche come trasferire conoscenze e competenze ai più giovani, trasformando l’età non in un ostacolo, ma in una risorsa. È una partita che va giocata sia sul piano legislativo che su quello della contrattazione collettiva».