Mai nella storia dell’Onu è stato chiesto a un suo funzionario di dimettersi da sette Paesi (l’Italia, vilmente, ancora latita…). Ma perché Francesca Albanese ha sempre appoggiato Hamas affermando che non sia un’organizzazione criminale, e diffondendo sistematicamente menzogne su Gaza e Israele? Ha dichiarato che il massacro del 7 ottobre era una “risposta all’occupazione sempre maggiore che Israele compiva sui territori arabi”; ma Israele non occupava nessun territorio arabo, tutti governati in piena autonomia dall’Anp e da Hamas. Allora cosa spinge Albanese a mentire sempre, come sul proprio cv, essendosi definita avvocato sebbene non lo sia? Forse una risposta potrebbe risiedere nell’essere la moglie di Massimiliano Calì.
Chi è Massimiliano Calì, marito di Albanese
Calì è un economista che non ha mai nascosto la sua avversione pregiudiziale a Israele, e UN Watch ha evidenziato alcuni suoi post su Facebook in cui avrebbe propagandato la solita fake news del “genocidio a Gaza” e definito lo Stato ebraico un “regime di apartheid”. Ognuno sarebbe libero di avere le proprie opinioni, pur distorte e false, ma non se il proprio consorte lavora per l’Onu. Qui però il caso di Calì presenta ulteriori problemi. Infatti nel cv dell’economista figura l’incarico di consigliere economico del Ministero delle Finanze e dell’Economia nazionale dello Stato di Palestina a Ramallah, quindi per conto proprio del governo palestinese. Per l’Anp, Calì ha redatto alcuni rapporti, tra cui uno intitolato “I costi economici dell’occupazione israeliana per i territori palestinesi occupati”, anche qui dimenticando che non esistevano territori palestinesi occupati. In questi rapporti accusa Israele di ostacolare lo sviluppo economico della Cisgiordania, impedendo l’immigrazione araba con posti di blocco, barriere fisiche e restrizioni sulla mobilità dei lavoratori. In un altro, “L’impatto delle restrizioni alla mobilità sul mercato del lavoro: dati dalla Cisgiordania”, Calì stima un fantomatico costo del 6% del Pil sull’economia cisgiordana.
Ora, a parte che solo grazie a questi “posti di blocco e barriere fisiche” gli israeliani sono riusciti a contenere decenni di attentati terroristici, Calì evita accuratamente di segnalare che prima del 7 ottobre in Israele entravano quotidianamente dalla Cisgiordania oltre 150mila lavoratori arabi e altri 18.500 dalla Striscia di Gaza. Ovviamente molti permessi sono stati ritirati dopo l’attacco di Hamas. Tuttavia decine di migliaia di lavoratori in possesso di permesso entrano in Israele ogni giorno dalla Cisgiordania e da Gaza, ancora oggi. Calì sembra quindi distorcere la realtà dei fatti in una posizione nettamente filopalestinese.
Albanese e la difesa del marito
Albanese ha tentato di confutare la connessione del marito con l’Anp affermando online: “Mio marito non è mai stato assunto o pagato dall’Autorità palestinese. MAI. Nel 2011, quando vivevamo a Gerusalemme, ha fatto una consulenza per l’Onu nel territorio palestinese occupato (occupato da chi?, ndr), il cui ruolo prevedeva il rafforzamento di capacità del Ministero dell’Economia palestinese”. Il punto non è la retribuzione, ma il fatto che – come si legge sul sito della World Bank – abbia servito come “consulente economico presso il Ministero dell’Economia nazionale palestinese”.
Il conflitto di interessi
Ma non è finita qui. Oggi Calì ricopre il ruolo di senior country economist per la Banca Mondiale in Tunisia, Paese che è indicato come uno di quelli dove transitano i soldi di Hamas. Infatti nel 2022 la Banca Centrale tunisina ha congelato i conti bancari di alti funzionari del partito Ennahda, movimento islamista tunisino, legato all’ente “benefico” Nama Tounes, a sua volta colluso con Hamas. Sarà certo una coincidenza, ma, operando nel sistema bancario arabo coinvolto nei finanziamenti ai terroristi, c’è chi potrebbe sollevare un possibile conflitto di interessi. Una situazione tenuta ben nascosta da Albanese. Sono questi i funzionari Onu integerrimi e neutrali?
