Le cordate filoputiniane che sperano di ritrovare in Alaska il “vecchio” Trump

Ukrainian President Volodymyr Zelenskyy, left, departs after a meeting with President Donald Trump at the White House, Friday, Feb. 28, 2025, in Washington. (AP Photo/Evan Vucci)

Non lo ammetteranno mai; eppure le cordate filoputiniane e visceralmente pro-Pal (che, salvo eccezioni, sono le stesse sui due fronti) avevano accolto con favore la vittoria di Donald confidando che, una volta arrivato alla Casa Bianca, avrebbe mantenuto la promessa di far cessare la guerra in Ucraina e nella Striscia di Gaza nell’unico modo possibile: costringere Kyiv alla resa e rimandando l’IDF nelle caserme.

Oggi, queste stesse cordate, al di là delle dichiarazioni ufficiali, sperano di ritrovare nel Ferragosto in Alaska, il Trump dei primi giorni, deciso e… decisionista sulla sorte dei territori ucraini. Del resto, le prime dichiarazioni di Trump sull’Ucraina assumevano in toto le ragioni di Putin: la Nato “abbaiando” ai confini con la Russia aveva determinato la reazione di Putin e il governo ucraino aveva sbagliato a resistere perché quando l’avversario è più forte è meglio abbozzare. A commento di questa linea che capovolgeva quella della precedente amministrazione, Trump lasciava intendere che avrebbe potuto bloccare le forniture militari, perché a suo parere era “Più facile trattare con Putin che con Zelensky”. Dopo la lite con il presidente ucraino nello Studio Ovale sembrava poi che per Kyiv non vi fosse più scampo, tanto che in quella fase veniva criticata la posizione dell’Unione europea accusata di boicottare la sola pace possibile, insistendo perché fosse anche giusta (aggettivo bandito dalle bande del buco). Come disse, in quei giorni, Marco Travaglio: “Ho visto per tre anni l’Unione europea parlare un linguaggio di guerra, soltanto di guerra” e di armi, “fino alla vittoria finale contro la Russia”. Matteo Salvini non era stato da meno: “Chi attacca il presidente Usa non fa un buon servizio alla pace”.

Quanto al Medio Oriente erano apprezzate l’iniziative Usa per il cessate il fuoco, sorvolando sul fatto che era sempre Hamas a farle fallire. Come sempre Giuseppe Conte aveva svolto un ruolo di avanguardia. Interrogato in tv, prima delle elezioni di novembre, su quale candidato andassero le sue preferenze, l’ex presidente del Consiglio – già sponsorizzato da Trump al suo primo mandato – aveva dichiarato: “Per quanto riguarda le politiche del lavoro e le politiche interne è vicino alle nostre posizioni ma per politica estera Biden non ci lascia soddisfatti”. Poi, nel messaggio di congratulazioni per la vittoria elettorale, Conte aveva dettato la linea: “Le sfide che attendono gli Stati Uniti sono molteplici e ci riguardano tutti: fermare le guerre in corso, contrastare con la massima fermezza le violazioni del diritto internazionale umanitario, aprirsi a una visione multipolare dei nuovi equilibri geo-politici, puntare a regole eque per il commercio internazionale evitando la spirale protezionistica dei dazi e contro-dazi”.

Marco Travaglio si era spinto più avanti sentenziando quanto segue: “Chi ha preceduto Trump ha fatto incancrenire queste guerre”, arrivando poi a candidare Trump al premio Nobel per la pace: “Se Trump veramente riuscisse a far finire la guerra in Ucraina sarebbe un po’ meno ridicolo del Nobel per la pace dato all’ex presidente americano (Obama, ndr)’’. Ma la più importante apertura di credito Travaglio l’ha riservata a Trump su Gaza: “La scelta di impedire l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza, compresa l’acqua, è talmente criminale che sta mettendo in pericolo i tradizionali buoni rapporti tra Netanyahu e Trump”“Trump sarebbe talmente furioso con Netanyahu che vorrebbe riconoscere lo Stato di Palestina, spero non succeda sennò dovremo spiegare perché non l’abbiamo fatto e arriviamo dopo – ha aggiunto il direttore del Fatto Quotidianonoi italiani e noi europei, perché i paesi europei che l’hanno riconosciuta sono 9 su 27, l’unico dei grossi è la Spagna” … “È un gesto totalmente criminale che forse riuscirà ad isolare Israele dall’ultimo alleato che gli è rimasto, che poi è il primo”.

Alberto Negri, infine, si era rivolto a Trump invitandolo a dimostrare a Netanyahu chi comanda davvero nel mondo. Se si volesse fare il punto sull’avanzamento del processo di pace, grazie al contributo di Trump, il bilancio sarebbe disperato. Nei rapporti con la Russia siamo ormai al dottor Stranamore e ai sommergibili con testate nucleari solo perché Medvedev, ha ripetuto le minacce che da tre anni il bullo del Cremlino esegue a giorni alterni senza che nessuno se lo fili. Quanto al Medio Oriente, i bombardieri in Iran li ha mandati Trump. Poi se Netanyahu occuperà la Striscia di Gaza, si sarà garantito sicuramente il placet della Casa Bianca. E che dire degli Stati arabi e dell’ANP che chiedono ad Hamas azioni unilaterali che nessuno governo europeo, pronto a riconoscere lo Stato palestinese, ha il coraggio di pretendere?