Continua senza esclusione di colpi il conflitto diretto fra Israele e Iran. Le forze aeree israeliane dominano i cieli e continuano a eliminare centinaia di obiettivi ogni giorno: dalle infrastrutture nucleari alle basi militari, dalle piattaforme di lancio ai depositi di armi e missili, fino ai singoli comandanti e scienziati nucleari. Gli USA si sono uniti alla mischia “obliterando” – così sostengono – i tre più noti siti nucleari iraniani: il centro tecnologico di Isfahan, l’impianto di arricchimento di Natanz e il famigerato complesso di arricchimento di Fordow, nascosto sotto 90-110 metri di roccia e irraggiungibile dalle bombe e dai vettori israeliani.
Lasciamo da parte la credibilità che, d’ora in poi, potrà avere un presidente che ha promesso di terminare le guerre in Ucraina e in Israele in 24 ore e che ora apre pure un terzo fronte di guerra, addirittura con il coinvolgimento diretto americano, e proprio mentre erano in corso trattative diplomatiche. Concentriamoci piuttosto su come potrà reagire la Repubblica Islamica. Da mesi, ormai, l’Iran ha fatto l’impossibile per disperdere e nascondere i propri missili balistici, le piattaforme di lancio e il combustibile nucleare. Ciascuno di questi elementi è già montato su ruote o può essere facilmente caricato su camion, mimetizzato come trasporto civile e disperso tra monti e deserti su un territorio di oltre un milione e mezzo di chilometri quadrati.
È evidente che le voci sulla possibile resa dell’ayatollah, Ali Khamenei, e le trattative per un suo salvacondotto verso la Russia, sono sciocchezze prive di fondamento. Khamenei non ha la personalità dei Savoia o di Mussolini: i primi fuggiti a Salerno abbandonando gli italiani e la propria stessa corte, il secondo beccato travestito da sergente tedesco ubriaco, mentre cercava di scappare in Svizzera col malloppo della Repubblica di Salò. La Guida Suprema dell’Iran ha, piuttosto, la personalità di Hitler, pronto a combattere fino all’ultimo anche a costo di sacrificare tutto il suo popolo. E non dimentichiamo che Khamenei è pervaso da un livello di fanatismo che fa impallidire persino il confronto con il Führer: ha dedicato la sua vita a piegare la tradizione religiosa dell’Islam al proprio scopo, ovvero l’annientamento totale dello Stato di Israele e dell’intero popolo ebraico. Il suo Dio lo premierà se raggiungerà questo obiettivo, e lo punirà se non si dimostrerà degno di Lui. Altro che salvacondotto.
Le opzioni sul tavolo
Nel momento della sua massima debolezza, la Repubblica Islamica faticherà a mantenere quell’atteggiamento di superiorità regionale che ha ostentato per decenni. I passi diplomatici che aveva iniziato a compiere con gli Stati Uniti ne hanno accentuato la debolezza. D’altra parte, ha perso escalation capability: è incapace di colpire Israele in modo proporzionale ai colpi sempre più forti che riceve. Il numero di missili ancora a disposizione e lanciati per rappresaglia sono scesi da 200, nelle prime 24 ore, a meno di una decina. Può solo optare per una risposta asimmetrica. Per questo adesso l’Iran ha sul tavolo un numero sempre più limitato di opzioni. Vediamole una per una.
1) Business as usual: vince l’ultimo che rimane in piedi
Sapendo di non poter vincere apertamente un conflitto contro Israele (e ora con gli USA), Teheran potrebbe cercare di ingaggiare una guerra di logoramento, cercando di sfiancare la volontà o la capacità del nemico di continuare a combattere in un conflitto lungo e distruttivo, come già fece contro l’Iraq di Saddam Hussein negli anni Ottanta. La strategia iraniana potrebbe dunque consistere nel resistere, colpire quanto possibile e confidare sulle stime secondo cui Israele avrebbe un sistema di difesa antimissile in grado di reggere solo per altri quindici giorni all’attuale ritmo di scambio. Sperano poi – magari quando saranno rientrate in USA le prime bare a stelle e strisce – che Trump tenti di richiudere il vaso di Pandora e che apra una trattativa, come già fece in Yemen. Infatti, dopo mesi di attacchi ai ribelli Houthi filo-iraniani, gli Stati Uniti hanno firmato a maggio un cessate il fuoco con il gruppo, suscitando il disappunto di Israele. È così che Teheran intravede una possibilità di vittoria in una guerra di logoramento: sfruttando a lungo termine le proprie capacità offensive e logorando le difese congiunte di USA e Israele.
2) Attaccare le basi statunitensi per spaccare il fronte interno trumpiano
Gli Stati Uniti hanno basi militari in almeno 19 località del Medio Oriente, di cui otto permanenti, situate in Bahrein, Egitto, Iraq, Giordania, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, con un totale di 40.000-50.000 militari. Fino a oggi Teheran aveva deliberatamente evitato attacchi diretti alle forze americane, limitandosi ad alcuni lanci dimostrativi con droni su basi in Iraq, interpretati più come avvertimenti che come veri scontri. Ora potremo aspettarci una gamma di reazioni, dagli attacchi alle basi nella regione a operazioni più ampie per interrompere la produzione e il trasporto di petrolio, incluso il blocco dello Stretto di Hormuz. Khamenei aveva evitato di menzionare direttamente gli Stati Uniti, sperando forse ancora di ingannare Washington con una “falsa diplomazia”. Ma oggi il regime iraniano non ha più nulla da perdere e può scatenare un attacco su più fronti, con missili e droni diretti contro obiettivi americani in tutta la regione.
3) Lanciare gli ultimi frammenti dell’Asse di Resistenza in attacchi suicidi
Teheran potrebbe attivare le milizie dell’“Asse della Resistenza”, così come le cellule dormienti dei Guardiani della Rivoluzione e dell’Intelligence, per compiere attentati e sequestrare ostaggi israeliani, americani o di qualsiasi altro Paese di “infedeli”. Le ostilità interromperebbero la fragile tregua tra USA e Houthi firmata a maggio. L’Iran sfrutterebbe la sua rete di contatti tra gli Houthi per attaccare navi e imbarcazioni, o persino città israeliane e basi americane. Non dimentichiamo che, durante la seconda occupazione del Libano, Hezbollah – guidato dall’Iran – inventò e rese celebri le “operazioni martirio”: attacchi suicidi alle installazioni israeliane. Le basi americane sono da tempo blindate come castelli medioevali, ma chi può impedire a pazzi con giubbotti esplosivi (spesso donne o anche bambini) di farsi saltare in un mercato o in un autobus affollato?
4) Colpire lo Stretto per colpirli tutti
Secondo i media iraniani, è una possibilità concreta la chiusura dello Stretto di Hormuz. Questo collega il Golfo Persico all’Oceano Indiano e oltre, così come la rotta marittima verso il Canale di Suez, il Mediterraneo e l’Europa. E proprio qui transita circa un quinto del petrolio e del gas mondiale. Il Comando del commercio marittimo britannico (UKMTO) ha segnalato lunedì scorso un aumento delle interferenze elettroniche nello Stretto e nel Golfo, che ha compromesso i sistemi di localizzazione automatica delle navi (AIS).
Il conflitto ha creato forte allarme tra gli armatori internazionali. Le autorità statunitensi avevano confermato che non esistevano, prima del blitz USA, minacce dirette da parte dell’Iran contro il traffico commerciale. Ma ora, chi garantirà le navi, anche se completamente neutrali? Le forze iraniane sono maestre della guerra asimmetrica e si preparano da decenni a uno scenario di attacchi contro il traffico marittimo a Hormuz e nelle acque circostanti. L’Iran può iniziare ad attaccare navi quasi senza preavviso e certamente in meno tempo di quanto occorra a una petroliera per attraversare lo Stretto. Un altro punto critico da non sottovalutare è lo Stretto di Bab el-Mandeb, tra Gibuti e lo Yemen, largo solo 15 miglia, dove i missili degli Houthi possono tenere sotto tiro il traffico commerciale, con gravi conseguenze sulle catene di approvvigionamento.
5) MAD: mutual assured destruction
E la proliferazione? Ci sono molte cose che non sappiamo sul programma nucleare iraniano. Israele potrebbe saperne molte di più. Ma siamo ormai in un momento decisivo: i raid sulle infrastrutture nucleari militari potrebbero segnare la fine del programma o, al contrario, accelerarne il completamento. A parte le dichiarazioni propagandistiche, non sappiamo cosa è realmente successo negli impianti bombardati la notte di sabato. La IAEA ha confermato che non ha registrato alcun aumento di radioattività nei siti nucleari. E non è una buona notizia. Perché potrebbe significare che i 408,6 kg di uranio arricchito al 60% sono già stati messi al sicuro, chissà dove. E non dimentichiamo che il nuovo impianto di Mt. Kolang Gaz – una struttura a sud di Natanz – non sembra sia stato ancora sfiorato. Ma potrebbero essercene anche altri non ancora individuati dall’intelligence. Per trafficare con l’uranio, occorrono profonde conoscenze di fisica e ingegneria nucleare. Israele fin dalle prime ore si è assicurato l’eliminazione di 14 scienziati senior e dei militari che li comandavano, ma i servizi stimano in oltre 400 gli scienziati nucleari iraniani di primo livello, contando solo quelli con grande esperienza ed anzianità. E il calcolo non è difficile perché la maggior parte di questi ha studiato in occidente.
Ma torniamo ai 408,6 kg di U-235 al 60%. Potrebbe essere utilizzato in due soli modi. Mantenerne una parte in centrifughe ancora operative (sopravvissute nei siti bombardati o nascoste altrove) ed arricchirlo fino al 90%. Ricordiamo che, con l’aumento della concentrazione di U-235, l’arricchimento diventa sempre più rapido ed economico. Poi, basterebbe convertirlo da uranio esafluoruro a uranio metallico in ciò che resta dell’impianto di Bushehr o, più probabilmente, in uno degli impianti segreti scoperti a Marivan, Lavisan, Varamin o in qualche altro sito non ancora noto. Lì basta inserirlo in una testata – certamente già pronta e in attesa del suo carico letale – e montarlo su uno solo dei missili Fattah scampati alla distruzione, per poi lanciarlo contro Tel Aviv. L’esplosione nucleare devasterebbe la capitale.
Convertirlo subito in uranio metallico e caricarlo così com’è in una testata qualsiasi, modificata per contenere materiale radioattivo al posto di parte dell’esplosivo convenzionale: questa si chiama “bomba sporca”. Lanciandola e facendola esplodere con la sua carica convenzionale su Tel Aviv, l’Iran provocherebbe la dispersione di materiale radioattivo in atmosfera, trasformando la capitale in una nuova Chernobyl, inabitabile per decenni. In entrambi i casi, l’azione iraniana provocherebbe una rappresaglia nucleare, scatenando, con una probabilità che rasenta la certezza matematica, un conflitto nucleare globale. Khamenei (86 anni) potrebbe finalmente raggiungere le 72 vergini che, secondo la sua stessa predicazione, attendono chi muore in una guerra santa contro gli infedeli. Il resto del mondo, invece, dovrebbe cercare di sopravvivere a una catastrofe planetaria.
In conclusione, prima questi pazzi vengono fermati in modo certo e definitivo, meglio sarà. Per tutti.
