Sabaudia è un luogo ammantato dal mito: Ulisse vi restò ammaliato dalla Maga Circe, forse qualcosa di magico deve essere rimasto. Almeno fino a qualche decennio fa. Le famose dune, il profilo del monte Circeo, il mare che era azzurro, la brezza particolare del Tirreno: e, dietro, la cittadina “fascista”, razionalistica, funzionale, il piccolo lago, le ville e villette sulla spiaggia un tempo silenziosa, Torre Asturia e Torre Paola più in là. È qui che sorse forse il cenacolo culturale più intrigante dell’ultimo mezzo secolo. La foto sulla copertina di questo bel libro di Paolo Massari (“La vacanza degli intellettuali“, UTET) dice molto: Alberto Moravia un po’ stravaccato su una gran sedia di vimini sulla spiaggia di Sabaudia, accigliato come sempre, maglioncino bordeaux e pantaloni marroni. Doveva essere uno di quei giorni di primo autunno che a Roma chiamano “ottobrate”, che sprigionano un azzurro intenso tra cielo e mare. O, come scrisse lo stesso Moravia, «nel sole che risplende il mare appare avvolto in una luce silenziosa o se si preferisce, in un silenzio luminoso». Su quella spiaggia Moravia e Pasolini comprarono una casa «semplice e squadrata, come a voler esprimere un adattamento con l’architettura razionalistica del luogo», e così poi fecero Bernardo Bertolucci, Laura Betti, lo scultore Emilio Greco: case di intellettuali importanti aperte ad altri intellettuali, attori, giornalisti importanti.
Le giornate a Sabaudia di Moravia e Pasolini
La casa era anche un luogo di lavoro: al mattino le macchine da scrivere di Moravia e Maraini ticchettavano insieme, dietro la grande finestra che dava sul mare, «quasi un concertino ben ritmato»; poi lui andava in paese a fare la spesa, pranzo, riposo, pomeriggio di mare, cena con gli amici più vari a parlare di tutto. Estati (ma non solo estati) spensierate di intellettuali romani o comunque “romanizzati” che fuggivano, diremmo, proprio dalla “noia” del celebre romanzo moraviano. Ed ecco Pasolini, che è tutto il contrario della flemma dell’amico Alberto, arriva sfrecciando su una delle sue macchine veloci, la sera si perde a cercare ragazzi di vita: non sa che sono gli ultimi anni della sua vita, l’Idroscalo di Ostia non è nemmeno lontanissimo. Come Bertolucci, Pasolini vede in Sabaudia i cascami dell’Italia rurale; in fondo tutto quel pezzo del Lazio era stato bonificato anche dai friulani suoi conterranei, mentre Bernardo ci sente qualcosa della terra emiliana. Arriva gente varia, anche intellò famosi come Jean Genet e Félix Guattari, ovviamente ci sono tutti i “pasoliniani”, Citti, Davoli, Paris: e la “musa” per eccellenza, Laura Betti, genio e sregolatezza. Si chiacchiera, si litiga, si fuma, e tutto il resto.
Il delitto del Circeo
Ma al Circeo arriva anche la morte, la più schifosa. È la notte tra il 29 e il 30 settembre 1975, è il delitto del Circeo ad opera di tre fascisti depravati: Rosaria Lopez violentata e uccisa, l’amica Donatella Colasanti che si salva per miracolo fingendosi morta. L’Italia è sconvolta, gli intellettuali s’interrogano. Gli assassini sono fascisti della Roma bene, stop. Pasolini no, vede nell’atrocità di quel fine settembre qualcosa che va oltre il “fascismo”: per lui la violenza è consustanziale alla società dei consumi capitalista. Posizione diversa da quella di Alberto, o di Calvino. Non sa, Pasolini, che è una delle sue ultime polemiche “luterane”. Infine, Sabaudia oggi. Un altro mondo. «Non c’è più la libreria con i girevoli – scrive Massari – e i libri messi di piatto, appena fuori dalla vetrina». Il passato è passato, ma lo si può rievocare.
