Le mani sul mondo di Trump e Putin, dalle annessioni del Cremlino alla Groenlandia. E la Cina aspetta dall’Alaska il via libera per Taiwan

Russian President Vladimir Putin, left, and U.S. President Donald Trump's special envoy Steve Witkoff, right, shake hands during their meeting at the Kremlin in Moscow, Russia, Wednesday, Aug. 6, 2025. (Gavriil Grigorov, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

C’è grande attesa per l’incontro bilaterale Trump-Putin previsto per il giorno di Ferragosto in Alaska, un luogo simbolico e lontano dalle capitali della diplomazia, equidistante da Washington e Mosca, peraltro con l’affiorante incognita di una presenza all’ultima ora di Zelensky: per quello che sappiamo dei personaggi sembra un’ipotesi poco probabile ma le vicende dei pregressi, annunciati incontri sono sempre state condizionate da incertezze, veti incrociati e smentite.

Le richieste spudorate del Cremlino

Più che di una partita a scacchi si tratterà di uno spudorato incontro a poker: resta da vedere se i due giocatori professionisti dell’azzardo caleranno una scala reale o l’ennesimo bluff. Che prima o poi si debba trovare una soluzione a questa guerra che dura da oltre 1260 giorni sta nelle corde dei protagonisti: sono tutti sfiancati dal logorio del protrarsi del conflitto, anche Mosca che avanza pretese tipo ‘ordino-comando e voglio’ sa bene che l’asticella del rischio e della posta in gioco non può alzarsi all’infinito. Insomma: non può diventare una sorta di guerra dei cent’anni perché avrebbero tutti da perdere. Le richieste del Cremlino sono di una spudoratezza travolgente: annessione senza condizioni dell’area sud-orientale del Donbass il che vuol dire le regioni di Lugansk, che già le truppe russe controllano integralmente, e di Donetsk, con altre variabili aggiuntive – se la fagocitosi di Putin sarà vorace- relative alle regioni meridionali di Zaporizhzhia e Kherson, parzialmente occupate dalle forze di Mosca lungo la fascia costiera sul Mar d’Azov che collega il Donbass alla Crimea, annessa dalla Russia fin dal 2014.

La partita di poker di Trump

Trump predilige il poker alla lentezza della scacchiera, l’istinto alla meditazione, anche se l’Europa – a cominciare da Macron, Merz, Starmer e la stessa Ursula von Der Leyen a cui si aggiunge Giorgia Meloni che non vuole strappi con la Casa Bianca – lo sta tirando per la giacchetta verso la soluzione della diplomazia e cerca di convincerlo che nessuna trattativa (per non parlare di soluzione) può partire con la conditio sine qua non (traducasi: ricatto) di una cessione di territori dell’Ucraina. Che opti per il poker e gli azzardi più che per la riflessione ce lo ha dimostrato con l’infinita e defatigante vicenda dei dazi, oltre ad averlo detto chiaro e tondo a Zelensky in occasione dell’umiliante siparietto alla Casa Bianca e dell’improvvisato tète a tète in San Pietro ai funerali di Papa Francesco. “Non hai le carte” gli ripete come un mantra e questo vuole anche dire… “la partita la conduco io per tirarti fuori dall’impiastriccio della guerra” che Trump vede più come un fastidio che una tragedia umanitaria. Per uno che compra e vende e bada solo ai “miliardi che arrivano in America” Ucraina significa ‘terre rare’ e nuovi mercati. Tutta la storia dei sottomarini schierati per partire contro la Russia è più una coreografia del solito bau-bau: alzare la voce contro un Putin che non si fa impressionare dalle minacce e a sua volta sa rispondere con altrettante contromisure militari.

Dalle annessioni russe alla Groenlandia

Sul tappeto verde della posta in gioco però la cessione di territori alla Russia equivale al rilancio di annessioni annunciate: Canada e Groenlandia in primis e l’Europa stia zitta se non vuol veder alzare la partita dei dazi. La “trattativa” assumerebbe le sembianze di un do-ut-des, il che collima perfettamente con la logica di mercato di Trump. E se Zelensky non intende cedere al Cremlino neanche un villaggio lo fa perché sa di avere alle spalle un popolo sfiancato ma determinato a resistere a oltranza: su questo non ci sarà mai l’appoggio degli USA perché la Casa Bianca ha ben fatto intendere che il proprio intervento di mediazione non è legato a bandiere, ideali, autodeterminazione dei popoli e la Statua della Libertà si è già girata dall’altra parte: solo gli interessi possono portare una soluzione, anche se pare implicito che questo comporti la resa di Kyiv, se non si fa così ci saranno ostacoli e guai montanti per le mire espansive della Casa Bianca su Canada e Groenlandia, mica tanto velate.

Il silenzio inquietante della Cina (Taiwan)

Questi due uomini da poker d’azzardo forse non sanno dare il giusto peso alle resistenze dei popoli, all’inviolabilità dei confini ma soprattutto non tengono in nessun conto le possibili, reciproche implosioni interne e i prezzi che opposizioni e fallimenti faranno pagare, in termini di messa in crisi della loro leadership. Insomma la partita è tutta da giocare ed è imprevedibile perché Trump e Putin allungano le mani sul mondo con mire spudoratamente espansive e di conquista ma gli altri attori e i comprimari non stanno a guardare. Si aggiunga infine il silenzio inquietante della Cina: le mire su Taiwan sono sempre allertate. Xi Jinping fa della filosofia orientale della “lancia e dello scudo” una strategia che lo rende sornione ma attento. Se passa una prova di forza in Alaska, Pechino avrà le mani libere per inglobare l’isola e buone ragioni per farne un atout economico di assoluto rilievo nello scacchiere mondiale.