Si apre il cantiere della speranza per la ricostruzione dell’Ucraina. All’Italia tocca Odessa. La città dove il regista russo Sergej Ejzenštejn girò La corazzata Potëmkin, facendo rotolare giù per la scalinata del porto la carrozzina di un neonato. Oggi quel passeggino potrebbe rappresentare l’immagine dell’ingenuità europea: prende colpi da ogni parte, e solo ora sembra aprire gli occhi, svegliandosi dal lungo sonno, da quell’insipienza infantile.
Intanto Kyiv viene massacrata. Ogni notte nell’europeissima capitale ucraina è più buia di quella prima. Anche l’ultima è stata tra le più drammatiche. E tutto nel silenzio generale. Nessuno speciale in tv, nessun hashtag. Figuriamoci un boicottaggio. Una facoltà occupata. Qualche striscione. Niente. Eppure Mosca continua a colpire. A uccidere senza criterio: si paventa l’uso di armi chimiche. La Russia di Putin però non sta vincendo. È un animale ferito e in parte anche umiliato. E proprio per questo è ancora più pericoloso.
Non solo sul fronte orientale, ma anche nel Mediterraneo. Dove, sempre nel silenzio generale, la Wagner nera – il nuovo Afrikakorps di Putin – ha conquistato la Cirenaica. Tradotto: mezza Libia. Le corazzate di Putin, così diverse da quelle in bianco e nero di Ejzenštejn, stazionano qualche decina di miglia sotto la Sicilia. A Bengasi viene sbarrato il passo al nostro ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, senza che questo sollevi particolari ondate di indignazione. Sul caso Almasri si fa gran rumore, si invocano commissioni e interrogazioni. Ma si finge di non vedere l’elefante nella stanza: la Libia, il Paese africano più vicino all’Italia per storia e geografia, è per metà un protettorato russo. La cosa non è un dettaglio. E non è senza conseguenze.
Qualcuno – come Marco Mancini, ex numero uno dei nostri 007 – lo dice chiaro: dalla Libia si vedono già spuntare piattaforme missilistiche puntate (o puntabili) verso Roma. La Russia ha invaso l’Ucraina con l’esercito regolare, ha invaso la rete con hacker e bot della guerra ibrida, e ha invaso la Libia con mercenari e truppe irregolari. Il tutto sotto il nostro naso. Eppure, nel dibattito pubblico, di queste tre invasioni – Ucraina, web, Libia – non si parla affatto, se non nel circuito degli addetti ai lavori. Nel ventre vero della società, la campagna russa è felpata: non si vede e non si sente. In compenso, tutti parlano ossessivamente di Gaza. Solo Gaza. Sempre Gaza. Forse perché quel ritornello fa gioco a qualcuno. Le intelligence francese e britannica ne sono certe: è proprio la Russia ad alimentare artificialmente l’emotività sulla Striscia.
Parole, immagini, video. Tutto orchestrato per sequestrare non le persone, ma la loro attenzione. Un’attentissima distrazione. E così, nel flusso dei social, i bot putiniani e quelli per Gaza si somigliano e si confondono. Quando non sono gli stessi. Non si capisce di avere a che fare con una matrioska: si guarda a Gaza senza vedere che sotto c’è l’Iran. E senza scorgervi dentro, ben protetta, l’ultima, insidiosa bambolina con il volto di Putin.
