Legge di bilancio, emerge l’assenza di una rotta chiara

Alla luce della nuova proiezione sull’indebitamento netto si è reso necessario approvare un nuovo, l’ennesimo, scostamento di bilancio. La proiezione del deficit, nelle annualità comprese tra il 23 ed il 26, prevista dal Def è stata infatti riveduta nella NADEF, con un aumento percentuale sostanziale nel triennio di programmazione, 0,6, 0,6 e 0,4 rispettivamente. Lo scostamento di bilancio mina il già fragile equilibrio su cui si regge la finanza pubblica. Nell’eventualità di situazioni emergenziali improvvise, ulteriori deviazioni dal percorso di rientro del debito diverrebbero ingenti e pericolose da un punto di vista finanziario e l’esecutivo avrebbe uno scarso margine di manovra. In secondo luogo le misure finanziate in parte in deficit fanno di tale indebitamento il cosiddetto “debito buono”, volano di crescita nel lungo periodo?

Dal testo della NADEF e dalle anticipazioni sul DPB si evince che le misure in oggetto sono principalmente quelle volte a ridurre l’onere inflazionistico, tramite decontribuzione del lavoro dipendente e sussidi alle famiglie più numerose. Si aggiungono la semplificazione del sistema fiscale, la riconferma delle politiche invariate, gli incentivi agli investimenti nel Mezzogiorno, che tuttavia restano specifici, e il finanziamento al personale sanitario. Con riferimento a quest’ultimo i dati della fondazione GIMBE, che svolge studi in materia economica sanitaria in parallelo, dicono che a fronte di un aumento della spesa sanitaria in termini assoluti del 2,8% sussiste una riduzione percentuale sul PIL dal 6,7% al 6,6%. Tutte queste misure di certo non affrontano i problemi strutturali del Paese, consistendo maggiormente in sussidi e riduzione temporanea del carico contributivo dei lavoratori, che peraltro pone sotto stress il sistema previdenziale. Viene fuori l’assenza di una rotta da seguire per assicurare la crescita nel medio e lungo termine e, al contrario, aumenta l’indebitamento sulle spalle delle future generazioni, già particolarmente vessate dall’attuale contesto socio-economico, in particolare nel Mezzogiorno.

Sebbene le statistiche del mercato del lavoro a livello generale ci indicano una situazione molto favorevole, con l’occupazione ai massimi storici, scorporando i dati notiamo che l’occupazione giovanile non lo è affatto. Dal report ISTAT “I giovani del mezzogiorno: l’incerta transizione all’età adulta” si evidenzia l’esistenza di un divario enorme tra nord e sud delle condizioni dei giovani che hanno difficoltà di affrancamento dalle proprie famiglie e a crearne una propria. Nel Mezzogiorno risulta occupato il 46,7% delle forze di lavoro complessive, in leggera crescita ma con oltre 13 punti in meno dalla media nazionale (21 dal nord). Il tasso di disoccupazione medio nazionale è dell’8,1% che aumenta al 14,1% nel Mezzogiorno. Difficoltà che confluiscono nell’ormai acclarato calo demografico e che scaturiscono non di certo da scelte personali ma da vincoli di contesto nell’inserirsi nel mondo del lavoro e nel trovare un impiego che sia qualitativamente accettabile, perlomeno nel lungo termine, prima ancora che in termini salariali. Il decadimento delle opportunità lavorative tra i giovani meridionali, soprattutto, non può che produrre un impatto significativo sul vissuto dell’attuale generazione. Qui il ruolo del PNRR risulta essenziale perché si costituirebbe come unico strumento capace di sbloccare gli investimenti pubblici. Tuttavia, ad oggi, tale motore economico fa fatica a partire, soprattutto alla luce delle sempre meno certe tranche e dei dubbi sulla raggiungibilità degli obiettivi preposti.