È noto che il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, leader del partito di maggioranza relativa, conduce con determinazione una battaglia sul presidenzialismo. Battaglia forse identitaria, ma che in qualche modo potrebbe essere utile alle istituzioni del nostro Paese. Non entro qui nel merito di quale presidenzialismo sia possibile e opportuno, se l’elezione del Presidente della Repubblica, l’elezione del Presidente del Consiglio o altre soluzioni intermedie. Quel che interessa rilevare in questa sede è l’opportunità, forse unica, che si presenta ad alcune forze politiche – penso ad Azione, a Italia Viva o a Forza Italia e per alcuni aspetti anche alla Lega e al PD – di porre alla leader di Fratelli d’Italia una condizione che apparirebbe logica al fine di accettare la sua proposta o quantomeno di sedersi al tavolo della riforma e discuterne.
Mai come in questi giorni è evidente a chiunque che occorre chiudere al più presto le degenerazioni della cosiddetta seconda Repubblica, iniziata all’alba dell’epoca ’92/’94, il periodo più disgraziato di questo nostro Paese dal dopoguerra a oggi. Il ragionamento appare semplice e lineare: alla riforma in senso presidenziale occorre accompagnare una legge elettorale di stampo proporzionale.
Non mi soffermerei sul pur interessante dibattito di «quale proporzionale» dei cento possibili. Sicuramente sarebbe necessaria una clausola di sbarramento, quale che sia, magari differenziata per livelli elettorali. Si potrebbe andare da nessuno sbarramento alle elezioni europee, dove in questo momento non c’è da eleggere un governo ma solo rappresentanti dei partiti nel Parlamento Europeo, sino a un più corposo sbarramento per i livelli più bassi (penso ai Comuni, dove il tema della governabilità è particolarmente sentito), soluzione che a me pare la più logica e adeguata. Ma, per l’appunto, questi sarebbero gli argomenti di un tavolo della riforma.
Accozzaglie elettorali obbrobriose quali quelle a cui abbiamo assistito in questi anni sarebbero non più necessarie e forse neanche opportune. Diverremmo un Paese più europeo, le famiglie politiche di appartenenza sarebbero quelle presenti in tutta Europa senza le ridicole commistioni italiane («Sono popolare, ma anche liberale, ma anche riformista, ma anche…»).
Infine un’ulteriore considerazione: una legge elettorale proporzionale bilancerebbe i poteri, dunque sarebbe necessaria, nel momento in cui si dovesse andare all’elezione diretta di un Presidente del Consiglio o della Repubblica.
La politica è fatta di battaglie ideali ma anche di punti di equilibrio da raggiungere, di interessi da difendere. Cosa è stata la nascita della nostra Costituzione se non il punto più alto di intesa politico parlamentare raggiunto tra le tre grandi ideologie che hanno caratterizzato il ‘900: quella popolare, quella liberale, quella socialista?
Non ci sarebbe nulla di male – anzi, sarebbe un bene – se le forze politiche sedessero attorno a un tavolo e cominciassero a discutere di questo, senza distinzione tra coloro che oggi sono in maggioranza e quelli che sono all’opposizione, in vista di un futuro migliore dell’Italia. Paese complesso da governare, in cui alcune corporazioni la fanno ancora da padrone, dove in certe Regioni il fallimento dello Stato è evidente, dove, come ci ricorda spesso il professor Sabino Cassese i poteri si sono mossi sovrapponendosi e invadendosi l’un l’altro. Il potere giudiziario, viene oggi ben prima sia del potere esecutivo (il Governo) sia del potere legislativo (il Parlamento). Viene prima senza essere un potere, ma essendo semplicemente un “ordine”, così come lo definisce la nostra Costituzione. L’Esecutivo a sua volta ha invaso il Legislativo, laddove il Parlamento è spesso ridotto a un luogo di ratifica di scelte fatte altrove (una stanza dove si devono schiacciare bottoni). In questo caos le mille burocrazie pervadono tutti i poteri avendo spesso la meglio e svuotandoli di significato.
Con una legge elettorale proporzionale sarebbe inoltre più semplice sanare un altro vulnus: quello dell’esproprio del diritto di scelta del cittadino-elettore impossibilitato da trent’anni a scegliere il proprio parlamentare. Funzione ormai in capo ai leader di partito. Il tema, come risulta evidente dall’osservatorio della Fondazione Luigi Einaudi, diviene centrale e consentirebbe ai partiti di andare incontro a una legittima aspettativa del corpo elettorale.
Siamo drammaticamente vicini, alla luce della partecipazione al voto nelle recenti tornate elettorali, al paradosso di Robert Sabatier che sosteneva: «C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino e consiste nel toglierli la voglia di votare». E sull’opportunità di una legge elettorale che assicuri rappresentanza adeguata anche alle minoranze ed eviti disaffezione al voto, o peggio il voto al populista di turno, come al solito, il più puntuale e preciso è Luigi Einaudi, quando nel Lo Scrittoio del Presidente scrive: «Si dicono per definizione democratici o liberi i metodi i quali consacrano il diritto della maggioranza a governare e quello della minoranza a criticare, ma una maggioranza la quale sia tale soltanto perché una legge l’ha trasformata da minoranza in maggioranza non può non eccitare ira ed avversione nel corpo elettorale. Affermare nelle leggi che il 40% equivale a più del 50% è dire cosa contraria a verità e spinge istintivamente l’elettore a votare per i partiti o gruppi di partiti i quali si siano dichiarati contrari al sistema. Può darsi che l’elettore manifesti il suo sdegno astenendosi dall’andar e alle urne; ma il risultato è identico: rendere più facile la vittoria di coloro che si siano dichiarati contrari al sistema».
La legge elettorale, com’è noto, non è legge di rango costituzionale, pertanto sarebbe possibile riformarla in tempi molto brevi qualora ce ne fosse la volontà. Tenendo sempre presente quel principio di neutralità in nome del quale anche e soprattutto la legge elettorale andrebbe scritta «sotto un velo d’ignoranza» (John Rawls), senza pensare nel momento in cui si scrive a chi possa giovare o nuocere. Al punto in cui siamo arrivati bisogna volare alto. Credo non ci sia molto altro da fare per chi abbia a cuore il bene del nostro Paese e il futuro dei nostri figli.
