Ettore Rosato, più volte deputato e per quattro anni Vicepresidente della Camera è oggi il Vice segretario nazionale di Azione. Al suo nome è legato il tentativo di riformare in senso stabile il sistema elettorale.
Rosato, perché in Italia si cambia così spesso la legge elettorale?
«In Italia abbiamo sperimentato molti sistemi diversi perché dopo la Prima Repubblica si è rotto un equilibrio che era stato stabile per decenni. Il proporzionale classico aveva garantito continuità, ma dai primi anni Novanta in poi si è cercato di costruire alternative, modifiche, integrazioni. La verità è che non manca una legge elettorale: manca una buona legge sui partiti».
La Prima Repubblica aveva dunque una legge stabile? Come la definirebbe?
«Era una legge proporzionale molto chiara, che ha garantito, pur nel ricambio frequente dei governi, una lunga stagione di stabilità di sistema al Paese. Ma lo ripeto: ciò che serve davvero all’Italia non è cambiare la legge elettorale ogni volta, bensì attuare finalmente l’articolo 49 della Costituzione e fare una legge sui partiti. Di sistemi elettorali ne abbiamo provati tanti, ma senza un sistema dei partiti regolato la legge elettorale non basta».
Lei è stato tra gli autori del Rosatellum: quali sono stati i limiti di quella legge?
«Il 7 giugno 2017 eravamo in aula con un proporzionale alla tedesca, frutto di un accordo tra PD, Forza Italia, Lega, Movimento 5 Stelle e Südtiroler Volkspartei. Accordo che saltò al primo voto segreto per il tradimento dei Cinque Stelle. Se non fosse accaduto, oggi avremmo un sistema proporzionale e probabilmente una storia politica completamente diversa: forse avremmo avuto un governo “alla Draghi” già all’inizio della legislatura, invece che l’asse Conte–Salvini».
Oggi si parla di un ritorno al proporzionale con una premialità di maggioranza. Perché secondo lei Meloni potrebbe essere della partita?
«Perché l’attuale legge non garantisce stabilità. Meloni è al governo solo perché nel 2022 il PD decise di non fare accordi né con il Terzo Polo né con i Cinque Stelle, regalando così la vittoria al centrodestra. Ora lei vuole una legge che assicuri governabilità. E tra le ipotesi circolate, quella che si sta delineando non mi sembra affatto irragionevole».
La stampa l’ha già ribattezzata “Donzellum”. Che ne pensa?
«Io prima aspetterei di leggerla e poi eventualmente di attribuirle un nome. Prima la cosa, poi il nome della cosa. Il mondo del centro liberale guarda con interesse alla logica che si sta delineando, per le ragioni che stavo dicendo: può dare la massima governabilità ma anche una rappresentatività piena. Aspettiamo di avere il testo tra le mani, finché non c’è è impossibile esprimere un giudizio definitivo».
C’è però il rischio che la riforma venga accompagnata dal premierato. Per non dire sottesa. È una tentazione reale?
«Spero che quella tentazione venga accantonata. Siamo alla fine della legislatura: sarebbe molto più saggio concentrarsi su una buona legge elettorale, se si vuole davvero cambiarla, e sulle riforme economiche che il Paese attende. Legare la legge elettorale al premierato sarebbe profondamente sbagliato».
Qual è, secondo lei, l’asticella accettabile per il premio di coalizione?
«Conformemente a quanto indicato dalla Corte, bisogna fissare una soglia chiara: scendere sotto il 43-45% sarebbe incomprensibile».
Certo, se ci fosse una formazione centrista tra destra e sinistra, un soggetto capace di raccoglere il 10%, la soglia rischierebbe di non essere raggiunta da nessuno.
«Ma più della matematica serve la politica: le coalizioni devono essere coerenti. E mettere insieme, sulle grandi questioni internazionali, figure che sull’Europa e sull’Ucraina la pensano in modo opposto, come Salvini e Tajani, mi sembra un’operazione troppo audace rispetto alle sfide del tempo che abbiamo davanti».
