L’Europa è nuda, l’Alaska sarà una nuova Yalta: Trump e Putin ricordano al Vecchio Continente che dopo 100 anni continua a non contare nulla

FILE - President Donald Trump, left, and Russian President Vladimir Putin, right, arrive for a one-on-one-meeting at the Presidential Palace in Helsinki, Finland, July 16, 2018. (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais, File) Associated Press / LaPresse Only italy and spain

Non ha molto senso strologare sull’esito dell’incontro fra Trump e Putin. Anche all’indomani del 15 agosto non sarà facile capirne le implicazioni. La materia, come sempre nel Grande Gioco geopolitico, è a dir poco complessa. Ma neppure ha senso, come invece si legge su molta stampa nazionale e internazionale, scandalizzarsi per l’esclusione dell’Europa (oltre che dell’Ucraina) dal summit. Cioè prendersela con il “tradimento” di Trump.

Perché se c’è una cosa della quale dovremmo essere tutti consapevoli è che quell’esclusione rappresenta soltanto l’ultimo episodio di una lunga storia. Perchè, a ben vedere, l’Europa ha perso da oltre un secolo la capacità di decidere il proprio destino. È una cronologia fin troppo nota. L’Europa dissipò già con il 1914-18 la sua secolare egemonia mondiale e i suoi imperi coloniali. Fu l’artefice dissennata – certo, con la benedizione di Wilson – del disastro di Versailles. Lasciò poi germinare, tra anni Venti e Trenta, le dittature di destra, finendo a un passo dal soccombere all’impero del Terzo Reich. E venne salvata da un simile destino soltanto grazie alle armi e ai combattenti degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica.

Pagando a caro prezzo, tuttavia, la vittoria sul nazismo: a Yalta, pur in presenza del leader britannico e del presidente americano, fu Stalin a imporre la divisione del continente a metà. Tra due zone d’influenza esterna. Né, perciò, il Vecchio Continente ebbe voce in capitolo sul piano geopolitico nei decenni della Guerra Fredda, quando i paesi occidentali diedero vita a un’arrembante integrazione economica ma rinunciarono a costruire una difesa comune, mentre i paesi dell’Est, per parte loro, venivano chiusi a doppia mandata nella prigione comunista. Infine, dopo il 1989-1991, l’Unione di Bruxelles aprì le porte agli ex satelliti dell’Urss, ma continuò ad evitare il decisivo nodo politico-militare della difesa.

Un obiettivo che, del resto, si era fatto ancora più difficile a causa della disomogeneità territoriale provocata dai successivi ampliamenti dei propri confini. Oggi è opinione diffusa che Trump sia il primo presidente americano esplicitamente ostile al Vecchio Continente. Viene accusato di rinnegare la storica “solidarietà atlantica”, di abbandonare i partner occidentali al loro destino (di fronte al risveglio imperiale russo), di imboccare un protezionismo che non distingue tra “amici” e “nemici”. E naturalmente c’è molto di vero in tutto questo. Ma è altrettanto indubbio che Trump sta svelando ciò che tutti gli osservatori sanno o dovrebbero sapere. Che l’Europa è nuda. Che, per i limiti delle proprie leadership, inanellando errori strategici, scopre oggi, di fronte al Cigno Nero, la propria insostenibile debolezza geopolitica. Sì, è probabile che il summit in Alaska si riveli una nuova Yalta. Ma non c’è da menare scandalo. L’Europa ha rinunciato da oltre un secolo alla propria indipendenza politico-militare. Meglio prenderne atto, se si vuole correre ai ripari. Se si è ancora in tempo.