L’idea di Muti: un Lincoln Center a Napoli propulsore per il futuro

Per capirci qualcosa in più, su come funziona e su com’è strutturato il Lincoln Center, Il Riformista ha chiesto ad Antonio Ciacca, pianista, compositore e direttore d’orchestra di fama internazionale che definisce la sua esperienza presso il Center «meravigliosa». Ciacca è cresciuto a Volturino, nel foggiano, e ha studiato a Bologna e poi negli Stati Uniti. Da due anni ha assunto la carica di direttore artistico del Festival Internazionale del Jazz di La Spezia. Al Lincoln Center è docente alla Juillard School ed è stato direttore della programmazione jazzistica sotto la direzione di Wynton Marsalis. «Ogni istituzione – spiega – si muove nel proprio ambito di competenza artistica. Tra queste c’è circolazione interna di risorse umane e si fanno progetti in co-produzione come con l’album All Rise di Marsalis, una collaborazione pluripremiata con il Jazz at Lincoln Center. Inoltre – continua – tutti collaborano affinché nel calendario comune non si sovrappongano eventi importanti come le serate di Gala o le prime». Per quello che riguarda un Lincoln Center a Napoli, e in Italia, il maestro Ciacca spiega che innanzitutto bisogna tenere presente delle differenze sostanziali tra i due Paesi. «Gli USA – argomenta – sono un paese anglosassone dove la contribuzione è privata ed è enorme rispetto ai paesi latini dove le istituzioni vivono soprattutto di fondi pubblici. In Italia – continua - è la politica che decide i management. Qui negli USA è il merito. La politica è tenuta fuori». E allora da dove si dovrebbe partire per costruire una realtà simile a Napoli? «Il primo passo – spiega Ciacca - è individuare una figura manageriale al di fuori della logica clientelare italiana. Un professionista al corrente dei sistemi economici sui quali si fondano i grandi enti. Il secondo è individuare un board di altissime personalità della cultura cittadina che da un lato attragga finanziamenti e dall’altro garantisca un comportamento eticamente ineccepibile. Se scorrete i nomi del board del Jazz at Lincoln Center non solo trovate i più prestigiosi avvocati e banchieri di Manhattan ma personalità di rilievo assoluto nel campo della cultura come per esempio l’immenso Henry Louis Gates, insegnante ad Harvard, e il compianto Albert Murray, storico e sociologo e biografo di Count Basie. E poi, quasi dimenticavo ci vuole un John D. Rockefeller». E quello a Napoli ancora deve nascere. Mentre ci sono il Teatro San Carlo, il Conservatorio, la Biblioteca Nazionale. Non si potrebbe, per ovvie ragioni, trasferirli tutti in un unico luogo come è successo alla Metropolitan Opera, al New York City Ballet, al New York Philarmonic. Ma in uno stesso hub, in un unico cartellone e in collaborazioni strutturate, potrebbero finalmente fare quel salto di qualità mondiale che aveva immaginato Muti. Napoli non è New York, d’accordo. Ma l’appello del maestro andrebbe comunque raccolto. E la sua idea verificata.