L’Imam deve morire. Misteri e vendette internazionali, un intrigo all’ombra dei minareti

Vincenzo Amendola, parlamentare e dirigente del Partito democratico, già ministro per gli Affari europei e sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega sempre agli Affari europei, è un grande esperto di politica internazionale. Aver messo a disposizione della letteratura le sue vaste conoscenze è doppiamente meritorio: perché, mentre in questo romanzo gustiamo la trama poliziesca dell’intrigo internazionale, contemporaneamente si apprendono molte cose e altre se ne riportano alla memoria. Dunque in questo “L’Imam deve morire” (Mondadori) si dipana per centosessanta pagine una complessa trama che ha il suo epicentro in Medio Oriente attraverso la vicenda oscura, appunto, dell’Imam Musa al-Sadr, misteriosamente scomparso a Roma.

Siamo alla fine degli anni Settanta, al governo c’è Giulio Andreotti. I Servizi segreti si mettono al lavoro per srotolare un garbuglio i cui fili si allungano in Libia, Libano, poi Iran, Iraq: il nostro investigatore, il capitano Roberto Stancanelli, un uomo tranquillo, intelligente ma con punte di ingenuità, seguirà il caso, sebbene più volte archiviato dalla magistratura, lungo i decenni che portano ai nostri giorni. È un bel personaggio, Stancanelli, un “servitore dello Stato”, scarpe grosse e cervello fino che si muove nel ginepraio dei Servizi segreti dove «non ti chiedi cosa sia giusto o vero in assoluto. Conta solo cosa è utile al tuo Paese e cosa il governo ritiene tale. La storia ha solo una vaga parentela con la verità, come la sentenza di un giudice ce l’ha con i fatti, o una radiocronaca con l’evento sportivo. Sono specchi deformati».

Dice il nostro 007 al suo collaboratore: «Il nostro Paese – spiegai a Morri – è da molti anni teatro di una guerra di spie: i Servizi di mezzo mondo regolano qui i loro conti e in cambio ci lasciano in pace. Noi offriamo il ring, ma i pugni se li danno tra loro». Il fatto è che «proprio quando credi di aver afferrato le dinamiche mediorientali e le sue divisioni, ti rendi conto che i nostri schemi cartesiani sono solo un vano tentativo di descrivere un arabesco usando ascisse e ordinate. Le differenze tra sciiti e sunniti, o quelle tra arabi e persiani, tra moderati ed estremisti, non bastano a comprendere». Per cui il romanzo di Amendola è anche un breviario per orientarsi tra sunniti e sciiti, e tra le mille contraddizioni di quella enorme area; ed è tutto un utile “riepilogo” da Gheddafi a Khomeini ad Arafat fino ai giorni dell’Isis, sempre con il conflitto politico-religioso che non si chiude mai (come tragicamente stiamo vedendo anche in questi mesi).

La vicenda dell’Imam rapito scompare e riappare sempre in circostanze strane, animate da personaggi misteriosi, equivoci, oscuri, tra depistaggi, nuove verità, viaggi del nostro Stancanelli in tutti quei Paesi misteriosi. Gli dice uno dei suoi interlocutori: «È il tutti contro tutti: cristiani sostenuti da Israele contro musulmani supportati dalla Siria e palestinesi contro sciiti. Poi c’eravamo noi iraniani e Gheddafi, che finanziava chiunque destabilizzasse il Paese, comprese le fazioni dell’Olp rivali di Arafat, sognando di diventarne il leader». In questo “L’Imam deve morire” non mancano belle descrizioni di certi luoghi lontani: «La strada in discesa faceva intravedere le luci di Beirut, la città che negli anni Sessanta era stata la “Parigi del Medio Oriente”, distesa sul mare e protetta dalle montagne. Un tempo così vicina all’Europa, ora mostrava il volto butterato dai proiettili delle ringhiose fazioni in lotta. La luna piena illuminava una sequela di palazzi sventrati, le facciate ridotte a gruviera dalle raffiche di mitra. La drammatica testimonianza di una guerra fratricida, lunga ed estenuante. Le strade erano trincee, disseminate di posti di blocco, in certi tratti l’asfalto era divelto. Il centro era sfigurato, coperto di macerie. Tunnel costruiti per resistere all’invasione israeliana, palazzi occupati e adibiti a centri di comando dagli ultimi palestinesi ancora in circolazione, postazioni antiaeree nascoste tra le case dei civili: Beirut era un campo di battaglia».

Amendola mette fuori tutte le sue conoscenze del mondo arabo e, da politico, spiega i nessi dentro la complessità degli scenari internazionali nel corso di quattro decenni. Non va svelato più di tanto l’intreccio né tantomeno il finale della storia che si rivela a Stancanelli nella mitica Persepoli. Va colto piuttosto il senso politico del romanzo di Enzo Amendola, che si potrebbe sintetizzare così: ogni volta che si giunge vicino alla affermazione di posizioni di compromessi, mediazione, buon senso, salta tutto. «Il Medio Oriente è un mondo senza speranza, penso. All’ombra di minareti che sembrano senza peso, si consumano feroci vendette tra persone che sembrano simili ma parlano lingue diverse, divise da risentimenti, odi atavici e convenienze di clan». Purtroppo è una maledizione che non si ferma, e i misteri continuano.