La guerra in Europa, la crisi energetica, economica, finanziaria, umanitaria e strategica, sono tutti avvenimenti sconvolgenti nel loro impatto immediato, ma soprattutto nelle conseguenze di breve e medio periodo, che costringono a riesaminare la validità delle scelte compiute, la sostenibilità degli obiettivi, la compatibilità con gli scenari interni ed internazionali, la disponibilità delle risorse e degli strumenti operativi pubblici e privati.
Se il Mezzogiorno protagonista era una esigenza, oggi è diventata una necessità. Se l’Europa politica unita era una richiesta, oggi è un obbligo ed una convenienza. Se la globalizzazione consentiva scelte nazionali, la sua trasformazione ed il suo declino spingono ad alleanze di blocco. Un nuovo ordine mondiale si va delineando, ed i suoi protagonisti non ne sono ancora interamente consapevoli.
Pensare di affrontare questo appuntamento con la storia con un Mezzogiorno diviso in otto regioni deboli e litigiose, autarchiche ed incapaci di progettualità condivisa, è un errore che può diventare irreparabile danno. Se fino a pochi mesi or sono era possibile denunciare una condizione di emarginazione e di inadeguatezza del mezzogiorno, contestando ritardi e debolezze dello Stato ed incapacità della classe dirigente, sollecitando una reazione di riscatto e rinascita, oggi non è più così.
Il Mezzogiorno deve agire come un unico soggetto che sia protagonista degli adempimenti che le nuove condizioni di vita associata impongono. Non c’è più soltanto una Italia capovolta: è l’intero continente euromediterraneo che si è spostato ad Est, inglobando nei suoi confini strategici, nuovi territori e nuovi popoli, e ponendoci nuovi problemi. La pace non è una condizione naturale: è piuttosto il risultato di costanti e consapevoli interventi per determinare condizioni di equilibrio, collaborazione e confronto.
L’Europa politicamente unita e riformata è il nuovo soggetto politico Euro Mediterraneo fondato su città e territori e con la mediazione leggera degli Stati nazionali. Il Mezzogiorno è l’unico attore, insieme alle altre Macroregioni, di un diverso sistema di governo delle pianificazioni e delle strategie. La nuova unificazione e coesione del Paese, nella alleanza di blocco occidentale, è la ricostruzione di una Italia fondata sul civismo federativo, pragmatico, insieme con un assetto istituzionale adatto alle funzioni globali e locali del terzo millennio.
Il nuovo sistema politico si ricostruisce civismo federativo. Civismo, perché nei valori civici la comunità trova il senso concreto della democrazia governante, definisce i suoi interessi, non li fa condizionare da scelte ideologizzate e da convenienze di parte. Federativo, perché più comunità si uniscono per comuni interessi, funzioni, identità, bisogni, ed attraverso le istituzioni riformate, esprimono quella strategia di Governo e quelle funzioni amministrative che rispondono alle esigenze locali e globali di una entità storicamente compiuta e definita. Possiamo cominciare dalle regioni del Sud dove si vota: Calabria; Campania; Puglia.
Il protagonismo del Mezzogiorno è reso più urgente e necessario dalla crisi che stiamo attraversando, che parte dalla constatazione del fallimento del Regionalismo a 20. Ma questo non comporta il fallimento della scelta regionalista affermata dalla Costituzione. Si è consumato, nella esperienza ultracinquantennale, un modello organizzativo e strutturale definito in una fase profondamente diversa e non accompagnato, nel corso degli anni da una consapevole ed adeguata azione di riforma. L’anima della Regione è venuta meno perché le sue dimensioni, funzioni, obiettivi, sono al di sotto dei problemi e delle opportunità di sua competenza.
Il Regionalismo a 20 è finito, non per la richiesta delle autonomie differenziate di alcune regioni del Nord, ma perché non risponde più alle esigenze del Paese e delle sue trasformazioni; presentando una realtà frantumata, costosa, inefficiente ed impotente. Ma non è finita l’esigenza costituzionale della struttura regionalista dello Stato italiano, soprattutto nella fase di riforma e ristrutturazione di una UE, euro mediterranea, che si avvia ad essere nuova protagonista nello scenario mondiale.
Questa nuova struttura regionalista va riscritta nelle dimensioni, nei poteri, nelle competenze; puntando a costruire soggetti forti che, senza demonizzare una riflessione presidenzialista, accompagnino il governo nazionale nelle scelte di governabilità interne e nelle costruzioni sistemiche comunitarie. Ma questi soggetti devono essere anche contenitori consapevoli della governabilità civica delle città metropolitane e dei sistemi urbani diffusi, senza sovrapposizioni ed antagonismi.
Le finalità di queste nuove ed antiche regioni, che abbiano la necessaria massa critica, devono essere la competitività territoriale, nella dimensione euromediterranea; la governabilità delle comunità, delle risorse, delle opportunità, nella dimensione nazionale. Non si tratta, di una pur utile, operazione di ingegneria costituzionale ed istituzionale, né un esercizio di governo. La crisi del regionalismo a 20, è stata insieme con altre, causa ed effetto di uno scollamento del popolo dalle Istituzioni del territorio che avrebbero dovuto rafforzare. Il paese è un realmente diviso, anche profondamente, su interessi territoriali forti e su identità antagoniste esasperate strumentalmente.
Abbiamo assistito, soprattutto nelle passate legislature, ad un sistematico annuncio con l’impegno a rilanciare il mezzogiorno; abbiamo sistematicamente letto di una vera corsa alle percentuali di risorse; del valore globale degli impegni dello Stato trasformati in interventi nel mezzogiorno superiore al 40%, al 50%, al 60%. Abbiamo saputo di elenchi di opere divenute progetti pronti per essere approvati, pronti per essere cantierabili. Non era vero, ed abbiamo denunciato il vuoto che si nascondeva dietro questi atti completamente privi di consistenza.
Le conseguenze per il mezzogiorno le riassumiamo in tre emergenze che sembrano ormai irreversibili: a) la perdita sostanziale di risorse assegnate al Sud dal PNRR b) la perdita definitiva delle risorse assegnate al Sud con il Fondo Coesione e Sviluppo 2014-2020 e la inesistenza programmatica per il Fondo 2021-2027; c) le Autonomie differenziate avviate senza affrontare la omogeneità delle condizioni socio-economiche del Paese;
L’emergenza con maggiore rilevanza politica è quella relativa alle autonomie differenziate. È impossibile impegnarsi in una simile iniziativa senza avere reso prima omogenei alcuni indicatori economici delle singole realtà regionali. Oltre 75 anni dalla costituzione della Repubblica, non è pensabile che i livelli essenziali delle prestazioni (L EP) siamo distanti una enormità da quelli del centro Nord del paese: non è pensabile che il reddito pro capite in Sicilia si attesti su un valore di 17.400 € ed al centro Nord superi 32.000 € e in Lombardia raggiunga anche il valore di 40.000 €.
Le responsabilità politiche sono anche responsabilità individuali: le carenze nella attuazione di programmi nazionali e comunitari da parte di figure di governo nazionali e regionali, che hanno fatto danno al Paese debbano essere combattute e contestate. Soprattutto le Regioni del Mezzogiorno debbono, in modo organico ed unitario, comprendere questo vuoto gestionale che ha compromesso la crescita dell’intero mezzogiorno e debbono al tempo stesso, ammettere la miopia con cui hanno gestito il complesso processo programmatico che dal 2014 ha offerto al sud tante occasioni per il suo rilancio: tutte occasioni perse perché è mancata la lungimiranza politica ed il coraggio di rivendicare i propri diritti e la gestione federata di poteri, competenze, risorse.
La condizione di eccezionalità politica richiede questo coraggio riformatore e questa lungimiranza strategica. È il tempo dei riformatori che si contrappongano ai conservatori e diano concretezza e visibilità ad una Europa capovolta. Quindi una nuova classe dirigente consapevole della urgenza e drammaticità dei problemi che riguardano il Mezzogiorno, ma che la partita decisiva riguarda tutto il Paese, che nella nuova presa di coscienza di questi giorni, è l’Italia nella Europa unita.
