L’Iran come Truman show, un popolo vittima di pregiudizi che diventano un vaccino

Esfahan, photo by Davide Viola

Come sappiamo sono giorni infuocati quelli che caratterizzano non soltanto l'Iran ma l'intero scenario mondiale. Dopo il raid americano a Baghdad dove ha perso la vita il generale iraniano Qassem Soleimani, è susseguita una mobilitazione internazionale che ha fatto presagire delle tensioni irreversibili. Una serie di botta e risposta tra Iran e Stati Uniti che si presuppone sia soltanto l'inizio. Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, tra le tante cose ha annunciato tramite Twitter che nelle sue intenzioni ci sarebbe anche quella di attaccare i siti culturali iraniani:"A loro è consentito uccidere, torturare e mutilare la nostra gente e a noi non è consentito toccare i loro siti culturali? Non funziona così" . Il Presidente però è costretto a rispettare l’accordo internazionale sottoscritto da ben 175 paesi nel mondo dove colpire siti culturali è un crimine di guerra come stabilisce la Convenzione dell'Aia per la protezione dei siti culturali del 1954. Per questo le dichiarazioni hanno allarmato non solo Teheran ma anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. A bloccare in maniera definitiva la minaccia del presidente statunitense infatti è stato l'Unesco, ricordando a Washington che ha firmato la convenzione per la protezione dei siti culturali e che quindi gli Stati Uniti si sono impegnati a preservare i luoghi inseriti nel patrimonio mondiale. Davide, ad esempio, ha deciso di partire per l'Iran raccontando che "nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità dell'Unesco figurano 24 siti iraniani e la voglia che avevo di vedere tra questi almeno quelli che fanno parte, consciamente o meno, anche del nostro bagaglio culturale fin dalle prime lezioni di storia alle medie, è stata alla base della decisione di organizzare il mio viaggio in Iran in solitaria". Avendo vissuto l'Iran ed esplorando le sue bellezze, Davide espone la sua reazione come se fosse stato colpito nel profondo: "Il giorno dopo la dichiarazione di Trump circa la messa a punto di una lista di 52 siti da colpire importanti per la cultura iraniana mi sono sentito come... non saprei dire, un umano tradito dalla stessa umanità. Ma come si fa? Non era la solita minaccia, il solito proclamo, la solita provocazione. Non alludeva a un attacco a obiettivi che definiscono strategici come un ponte o una strada o una centrale energetica. Il messaggio rivolto agli iraniani era chiaro e di un’altra natura: colpiremo il vostro patrimonio culturale, cancelleremo la vostra storia. Perché quella è la vostra essenza, la vostra anima, il vostro nome. Perché lì farà più male. Non una risposta militare ma una damnatio memoriae". Infatti secondo lui "per capire il senso, ammesso che sia possibile farlo, credo sia utile soffermarsi un secondo sul rapporto tra il popolo iraniano e il proprio patrimonio culturale. Patrimonio che è vario, incredibilmente ricco e testimone dell’importanza avuta nei secoli dalla Persia, oggi Repubblica Islamica dell’Iran. Si va dai siti più celebri del periodo achemenide, ai palazzi imperiali degli Scià, passando per enormi Ziggurat, cittadelle abbandonate nel deserto, templi zoroastriani e chiese armene oltre che, naturalmente, grandiose moschee e piazze smisurate".  IL VIAGGIO - Attraverso il suo racconto è possibile catapultarsi in quei luoghi respirandone la storia e la magia: "In due settimane di strada ho visitato le città di Teheran e di Esfahan, il villaggio di Varzaneh, la città nel deserto di Yazd, le isole del Golfo Persico Qeshm e Hormoz e infine Shiraz. Teheran non è una città particolarmente rilevante dal punto di vista storico-artistico, fatta eccezione per il Palazzo Golestan e per qualche museo e galleria. Ma se la capitale iraniana manca di un grande patrimonio artistico, in città puoi vedere le mille e spesso contrastanti facce dell’Iran, una città che incarna perfettamente l’essenza di un paese la cui storia è stata segnata dalla contaminazione, spesso forzatamente a dire il vero, tra oriente e occidente. Dopo Teheran è stata la volta di Esfahan, sicuramente la città più ricca del Paese in quanto a palazzi, saloni, ponti monumentali, piazze e moschee, e quindi anche la più visitata dagli stranieri. Fiore all’occhiello della città è la piazza Naqsh-e jahān, una delle piazze più grandi al mondo e il primo tra i patrimoni Unesco che ho visitato durante il mio viaggio. Un luogo al tempo stesso cartolina per turisti e punto di ritrovo e commercio per la gente locale e che, forse anche per questo, infonde un fascino particolare. Non è un caso che in farsi il suo nome significhi 'modello del mondo' - continua Davide - L’ultima tappa del mio viaggio, il dulcis in fundo, è stata però Shiraz. La città dei poeti e dei giardini di arance, della Moschea Rosa che regala per poche ore al mattino uno dei giochi di luce più incredibili mai visti in vita mia. Ma soprattutto la città da usare come base per visitare la vicina Persepoli, uno dei posti dove respiri la storia del mondo e dove gli occhi non riposano mai. I luoghi come Persepoli sono quelli dove risiede la coscienza collettiva di un popolo (come per noi italiani potrebbe essere il Colosseo) e la propria memoria storica. Sono il loro rifugio e il loro orgoglio". Davide per passione e per lavoro ha vistato oltre 34 Paesi nel mondo. Dell'Iran ci descrive il suo viaggio come un'avventura con "zaino in spalla via terra per oltre 1500 km con addosso tutti i contanti portati dall’Italia (in Iran non funzionano i nostri circuiti di bancomat e carte di credito) e due macchine fotografiche. Ci sono ovviamente delle cose da tenere in conto come il modo di vestirsi, specie per le donne, o la non disponibilità di bevande alcoliche, ma nel complesso nulla in più di quanto il buon senso suggerisca circa il comportamento da tenere in un paese straniero la cui costituzione tra l’altro è ispirata alla sharia. Viaggiare in Iran è certamente un’esperienza piacevole per via della bellezza e ricchezza del paese di cui abbiamo già parlato, ma è anche altro. Perché significa, secondo me, almeno altre due cose: avere la possibilità di vedere con i propri occhi quanto siano a noi vicini persone e culture che invece immaginiamo lontani e, quindi, quale che sia il nostro punto di vista sul mondo, avere maggiori elementi di giudizio; ma significa anche tendere la mano a quelle persone che vorrebbero sopra ogni cosa liberarsi dalle etichette e dagli stereotipi che gli offendono e non gli appartengono".