L’Italia non deve ospitare lo scontro tra Musk e Zuckerberg: siamo davanti ad una trollata, a cui le istituzioni si sono accodate

Nel Si&No del Riformista spazio al dibattito sul possibile scontro tra Elon Musk e Mark Zuckerberg in Italia. In attesa capire se e quando i due si sfideranno, il direttore Andrea Ruggieri e il giurista Andrea Venanzoni discutono se la vicenda possa essere un’opportunità per il nostro Paese o un capriccio da cui stare alla larga.

Qui il commento di Andrea Venanzoni, contrario ad ospitare la sfida:

L’annuncio che Elon Musk e Mark Zuckerberg si sfideranno in Italia ha sorpreso, divertito, indignato e ha soprattutto rinfocolato antiche polemiche.

La recente conferma giunta attraverso un tweet del Ministro Sangiuliano ha fatto piombare immediatamente il dibattito pubblico italiano in una disfida tra tifoserie, senza sfumature intermedie e senza alcuna ipotesi di analisi e di contestualizzazione.
A dire il vero, complice anche l’oscurità del progetto, e la totale assenza di dettagli, non ultima quella sulla location di cui sappiamo solo non essere Roma, le ipotesi, le critiche e le lodi sono tutte avanzate sulla base della fantasia e dei gusti individuali.
Diciamolo chiaramente, anche alla luce del post con cui Zuckerberg sembra invece smentire il tutto: siamo probabilmente davanti a una colossale, autopromozionale, narcisistica trollata da parte dei due titani del tech, cui le istituzioni pubbliche si sono accodate.

Non c’è dubbio che l’hype generato dalla querelle sia esso stesso pubblicità per il Paese, e immagino sia questo il motivo per cui il Ministro si è voluto sbilanciare, e non casualmente stiamo assistendo a una lunga sequenza di sindaci che candidano i beni archeologici presenti nelle loro città come ideale location.

Che sia una trollata, o una disfida autentica, ci sono in apparenza motivi per esprimere favore o contrarietà.
Secondo i favorevoli, si tratta di una occasione per polarizzare gli occhi del mondo sull’Italia, per ricevere la cospicua donazione promessa, se l’evento si terrà e in generale per vitalizzare il brand Italia.

Secondo alcuni contrari invece si tratterebbe di un messaggio sbagliato, di una violazione, ai limiti della lesa maestà, del retaggio storico, artistico e culturale italiano, e soprattutto si veicolerebbe l’idea che l’Italia è in vendita per il miglior offerente, per quanto kitsch e grottesca possa essere la sua proposta.

Chiamare in causa morale ed etica in questa vicenda è un approccio limitato. Il patrimonio storico-artistico è stato già cornice ideale, tra polemiche, di concerti, sfilate di moda, eventi vari. Certo, nulla di paragonabile a una sfida, i cui contorni sono nebulosi, ma non sembra critica decisiva. La contrarietà a una simile idea nasce invece spontanea e fisiologica quando ci si interroga su quale debba essere la funzione di un progetto del genere.

Sostenere e sposare una trollata o incamerare una dazione una tantum per un evento unico rinfocola stantii stereotipi.
La narrazione muffosa del ‘turismo come petrolio’, l’Italia statica, ossificata, museale del pomodoro, delle tagliatelle, degli scugnizzi e delle rovine, le cui istituzioni fanno sponda a giochi narcisistici e digitali, una Italia incapace di attrarre investimenti e capace solo, al contrario, di essere set naturale per evoluzioni circensi o, ripetiamolo, di una trollata.

Difficile lamentarsi se si calamita un turismo sciatto, caotico, desideroso magari di lasciare ai posteri un vandalico segno del proprio passaggio incidendo le iniziali con la punta delle chiavi su antiche vestigia. L’Italia ha invece necessità di rendersi hub per significativi e strutturali investimenti, non donazioni.

Investimenti non sono i soldi di una singola corsa in taxi o due notti in albergo. Musk e Zuckerberg sono titani del tech, gli investimenti che potrebbero offrire all’Italia dovrebbero essere di altro genere. Ma quegli investimenti, quelli che davvero servirebbero, sono resi difficoltosi da un clima che va ammantandosi di sfumature ostili, lo abbiamo letto e sentito; da Uber alle compagnie aeree low cost, con il loro algoritmo, alle tassazioni estemporanee degli extraprofitti e alle multinazionali spauracchio della messa a gara delle concessioni balneari, il capitalismo internazionale viene ancora percepito come figura scomoda, non gradita.

Mentre da un lato si concede ai giganti dell’economia internazionale l’uso di una qualche location o si cade nel tranello pubblicitario dello scherzo, dall’altro se ne scoraggia fattualmente o normativamente l’approdo in Italia in modo strutturale.