Lo chef Vissani: “Unesco, vince la cucina territoriale ma c’è chi va al ristorante, paga 400 euro e mangia aria. Vegani? Cucinai un coniglio e litigai con una signora”

Gianfranco Vissani non ha filtri. Disprezza le mode gastronomiche, odia le sperimentazioni chimiche a tavola. Non a caso, il riconoscimento della cucina italiana patrimonio dell’Unesco «è un premio alla cucina territoriale, non alle cucine fantasmagoriche». È un fiume in piena contro sifoni, azoto, cavallette e carne sintetica: «Abbiamo perso il gusto di mangiare a tavola». Ingredienti autentici, tradizioni radicate e sapori veri sono il manifesto di uno degli chef internazionali più prestigiosi, proprietario di Casa Vissani a Baschi, provincia di Terni, Ambasciatore della cucina italiana nel mondo. E quando parte in quarta, con giudizi che tagliano come coltelli, il figlio Luca interviene per cercare di contenerlo, con un approccio più moderato ma realista: «La cucina non può rimanere quella di 80 anni fa, ma negli ultimi anni siamo stati troppo estremisti, siamo andati un po’ troppo oltre. Faccio un parallelismo calcistico: quando ci si lega al denaro piuttosto che ai talenti, si rischia di non partecipare ai Mondiali».

La cucina italiana è patrimonio dell’Unesco. Se l’aspettava?
«Due anni fa ero a Verona con il ministro Lollobrigida, mi parlava di questo “patrimonio mondiale dell’Unesco”. È stata una cosa bellissima. Addirittura mi aveva dato la carta come Ambasciatore. Ora questo riconoscimento è una meraviglia. È stata premiata la cucina territoriale italiana, non queste cucine fantasmagoriche e chimiche. L’Italia ha il più grande patrimonio culturale. La nostra cucina parte da Apicio, con delle copie scritte con le sue mani. Erano Italicus, se le leggi non si capisce nulla. Eppure la cultura copre tutta la nostra Italia».

Cosa significa mangiare bene, oggi?
«Mangiare bene significa portare a tavola la cucina territoriale. Vedo tutto questo sugo sui piatti, è veramente disgustoso. Bisognerebbe avere l’accortezza di bilanciare piatto e sugo, piatto e salsa. Quando il piatto è fatto bene, in fondo c’è l’occhio di pernice, rimane quel tipo di grassetto, delle gocce d’olio. Non è proprio olio, è il sugo che fa questo occhio di pernice, è una cosa meravigliosa. Bisogna saper mantecare bene, la pasta deve rimanere al dente».

Però diranno che la cucina molecolare crea esperienze sensoriali sorprendenti…
«Sifoni, basse temperature, azoto, ultrasuoni… A me non piace quel tipo di cucina. Se la vuoi fare la fai, non è un problema, nessuno te lo vieta. Ma stiamo perdendo i clienti, perché i clienti vanno lì, pagano tanto e mangiano aria. C’è chi va al ristorante e paga 400 euro per mangiare un’insalata. Oppure vedi queste carbonare o cacio e pepe, i clienti vanno là con il pane per fare la scarpetta. Quello ci mette il bacon, quell’altro ci mette la pancetta. Ma dai!».

Perché in questi anni abbiamo perso il contatto con il cibo, distratti da sperimentazioni esagerate?
«Ci sono i vegetariani, i vegani, gli allergici al lattosio, chi non mangia pesce, chi non mangia carne. Arrivano questi dadini sul piatto, cotti a bassa temperatura… Ti giuro, mi viene la pelle d’oca a pensarci. Io vengo da una scuola antica: si sfilettavano il rombo, il branzino e l’orata di fronte al cliente. Oggi non ci sono più questi chef che sanno sezionare. Oggi il cameriere porta a tavola dei vini che neanche conosce».

E guai a criticare i vegani. Lei però ci va giù pesante. È politicamente scorretto…
«Pensa che i vegani sono stati inventati da sei vegetariani in Inghilterra. Perché in Inghilterra ci sono quelli che lanciano il sasso e nascondono la mano. E da lì sono aumentati i vegani. Le racconto questo aneddoto».

Mi dica.
«Una volta stavo a Castel Sant’Angelo, stavo facendo un pranzo, e una signora mi offese perché avevo fatto il coniglio. Mi disse: “Questo era un piccolo animale, stava lì per giocare”. E io le risposi: “Signora, ma vaffanculo”. Cosa le dovevo dire? È una moda, dai».

Gli chef-influencer, che ormai popolano la Rete, preparano piatti elaborati in un video di appena 30 secondi. Sono una minaccia per la qualità della nostra cucina?
«Questi sono scemi, non sono chef. Il cellulare ha rovinato tutto: questi si mettono a scrivere e a parlare, ma non sanno un cazzo di cucina. Questa gente che parla sa quanti piatti sono stati affogati da questa cucina?».

Magari può provare la farina di grilli o le cavallette…
«Le ho mangiate, scrocchiano in bocca. Non so dove arriveremo. Ci fanno mangiare gli scorpioni, le cavallette, i lombrichi. Adesso Di Caprio ha investito sulla carne chimica. Ragazzi, ridateci l’Italia. L’Italia del maiale sotto casa, l’Italia del cortile: la mamma aveva due polli, un gallo, un tacchino, due conigli, due piccioni che volavano, e mio padre se li mangiava. Questa è la vera cucina italiana».