“Giustizia: una guida per il cittadino chiamato al prossimo referendum” di Giovanni Verde
Secondo il Prof. Verde la Riforma non migliorerà il “servizio giustizia”, ma anzi “avrà scarse o nulle ricadute sull’efficienza del servizio”. Questo perché la Riforma, anziché concentrarsi sulla “riduzione dei tempi della giustizia”, vero tema di rilievo a parere dell’autore, si dedicherebbe “solo” alla separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici. Senza contare, tra l’altro, che questa separazione esisterebbe già, tanto che la Riforma nasconde altro: “La questione, per gli avvocati, è ideologica, perché nell’attuale processo si sentono figli di un dio minore; per i politici, invece, è di un riequilibrio dei poteri da realizzare espungendo i pubblici ministeri dall’unico corpo della magistratura”.
E allora non facciamoci ingannare dal trito e ritrito tema degli errori giudiziari che dovrebbero deporre a favore di un mutamento dello status quo: “L’errore è dietro l’angolo; appartiene alla nostra natura; è un prodotto della nostra imperfezione, senza la quale cesseremmo di essere ‘umani’”. Enzo Tortora? Fa parte di quegli errori giudiziari “di cui ci occupiamo e ci scandalizziamo quando riguardano persone note”.
Che un potere dello Stato tenda ad espandersi è, d’altra parte, “nella natura delle cose”, e il problema della terzietà del giudice “non nasce, come mostra di credere la Camera penale, cui fanno eco il Ministro e i politici, di destra e di sinistra, che vogliono la riforma (alcuni senza confessarlo), dalla struttura (simil)accusatoria che circa trent’anni ha assunto il nostro processo penale”: il mutamento di rito non ha inciso sulla posizione del pubblico ministero, “perché la terzietà non è compromessa dalle norme processuali, ma sarebbe il frutto di un difetto di origine voluto dai Costituenti” (“È possibile che di ciò questi ultimi non si siano resi conto?”).
Ed ecco la risposta: i Costituenti si concentrarono sull’istituzione del principio di obbligatorietà dell’azione penale (articolo 112), la cui introduzione comporta una distanza dell’organo dell’accusa (“che non sceglie e non ha diritto di scelta su chi e che cosa perseguire”) tanto dal giudice che dalle parti private. Al contempo, però, il giudice diventa “corresponsabile dell’esercizio dell’azione” perché il pubblico ministero (che secondo l’autore si limiterebbe ad assolvere una funzione, immobilizzato dall’obbligatorietà dell’azione penale), delegherebbe a questi le sorti dell’indagine. E se così è, la Riforma – dice – nulla scalfisce del sistema.
Un rischio, però, lo introdurrebbe: “Accentuerebbe l’indipendenza e autonomia dei pubblici ministeri, accompagnata da una sostanziale irresponsabilità, senza porre freno ad un’incontrollata bulimia investigativa e persecutoria. Con il prezzo ulteriore di un costosissimo nuovo organismo burocratico (un Consiglio superiore dei pubblici ministeri) a spese dei cittadini, che non ne riceverebbero alcun beneficio. È possibile che di ciò la politica non si sia resa conto?”.
Se così è, “la separazione ha senso soltanto se si espungono i pubblici ministeri dall’ordine (potere) giudiziario, che sarà costituito esclusivamente dagli organi giudicanti”; non più pubblici ministeri, ma “funzionari preposti all’esercizio dell’azione penale”, giammai affiancati dalla polizia giudiziaria, che non avrebbe senso “tenere in vita” a questo punto. Via anche le parti private dal processo, “perché sarebbe contraddittorio dare voce nel processo a chi non può pretendere che l’azione sia esercitata, essendo inevitabilmente confinato nella posizione di semplice spettatore”.
La Riforma, quindi, nasconde un tentativo di scardinare il sistema aggirando l’obbligatorietà dell’azione penale e trasformando i pubblici ministeri in superpoliziotti in condizione di “assoluta irresponsabilità”. Una Riforma autolesionistica, che consente il controllo del Governo sui pubblici ministeri, divenuti suoi funzionari, e per questa via sull’esercizio del potere di indagine.
Conclusivamente, “il cittadino non si lasci ingannare da false rappresentazioni. Sappia che il voto a favore della separazione sarebbe giustificato se si volessero porre le premesse per avvicinare il nostro sistema di giustizia penale a quello dei sistemi angloamericani”.
“Riforma della Giustizia, l’ossessione delle nomine e del nuovo ruolo del Csm” di Giovanni Verde
“Poniamo che sia vero che le nomine siano fatte e gli incarichi distribuiti per ragioni correntizie”: ciò sarebbe, per l’autore, “prova di disdicevole malcostume”, ma ininfluente sul sistema giustizia se “secondo i magistrati vale il principio che l’uno vale l’altro”. E se anche fosse vero, dice il Prof. Verde, perché scandalizzarci quando è ciò che si verifica in tutti i contesti? D’altronde “nel Paese, nella migliore delle ipotesi, ossia quando non lo facciamo per convenienza o per appartenenza a clientele, siamo abituati a scegliere in base alle appartenenze ideologiche” e le correnti in magistratura nascono per garantire “il pluralismo ideologico, che è il sostrato ineliminabile di qualsiasi persona e, quindi, anche dei magistrati e, più ancora, dei giudici (se li immaginassimo diversamente sarebbe come ritenere che la funzione da loro esercitata li ha resi asessuati)”.
E allora le vere ragioni della Riforma sono ancora una volta celate: è un fatto che la maggioranza della magistratura associata sia orientata a sinistra, ed è un fatto che al “politico dell’attuale maggioranza ciò non sta bene e pertanto vorrebbe eliminare che nella scelta abbia a prevalere la connotazione ideologica”. La magistratura si pone come un “contropotere”, e il sorteggio mira a depotenziarla, riducendo il CSM “a un tendenziale organismo amministrativo di gestione”.
Quanto all’Alta Corte, la sua istituzione comporta, per l’autore, costi non indifferenti per la collettività senza che vi sia un’esigenza logica alla base della novità introdotta. “Se si vuole togliere il controllo disciplinare sui magistrati al Csm, sembra, pertanto, evidente che lo si fa perché si pensa che la sanzione disciplinare (non sia in funzione del prestigio e dell’immagine della magistratura, ma) serva a condizionare il singolo magistrato con la minaccia di sanzioni, così accentuando l’aspetto punitivo del procedimento”.
“Una riforma imperfetta che darà vita a un sistema complesso e inefficiente” di Giuseppe Finocchiaro
La Riforma, lungi dal realizzare la separazione, “finirà soltanto con il dar vita a un sistema più complesso e inefficiente”. Anzitutto si triplicheranno gli enti, con incremento di spese e di attività per il Parlamento che dovrà dedicarsi a ben 3 elezioni. Vi è poi il tema della estrema indeterminatezza degli organi di nuova istituzione: ampi elenchi di soggetti tra cui scegliere i membri, per non parlare dell’incertezza sui requisiti dei magistrati (o andranno sorteggiati? difficile dirlo).
E poi l’annoso tema del sorteggio di alcuni membri che sarà, per l’alea che lo contraddistingue, “un rimedio peggiore del male”: irresponsabilità dei sorteggiati, alleanze occasionali e provvisorie, interessi personalistici. Da un punto di vista logico, poi, vi sarebbe nella Riforma una contraddittorietà interna insuperabile: l’intera carriera dei magistrati giudicanti e requirenti è regolata dai CSM, ma l’aspetto più rilevante, quello disciplinare, è in capo all’Alta Corte, composta “sia da quelli che da questi”.
Quel che è certo, in ogni caso, è che la separazione si realizzerà. “Ove verrà approvata la riforma costituzionale, la traiettoria della magistratura requirente sarà segnata: ci sarà inevitabilmente un progressivo e nel tempo sempre più accelerato allontanamento dalla figura del giudice per avvicinarsi a quella della polizia giudiziaria o, con espressione forse più efficace, dello sceriffo”.
E allora, il cittadino chiamato a votare dovrà porsi il seguente dilemma, secondo l’autore: “Preferirei che le eventuali indagini a mio carico fossero svolte:
› da un lato, da un pubblico ministero che è stato reclutato in un concorso riservato esclusivamente a magistrati requirenti, selezionato da una commissione giudicatrice composta in modo esclusivo o prevalente da magistrati requirenti e avrà ricevuto una formazione esclusivamente requirente, in termini più immediati e semplici, da un “pubblico ministero-sceriffo”?
› ovvero, dall’altro lato, da un pubblico ministero reclutato nel medesimo concorso che ha superato il giudice che deciderà il processo, selezionato da una commissione giudicatrice composta in modo prevalente da magistrati giudicanti e avrà ricevuto una formazione non soltanto da magistrato requirente, ma anche giudicante, in termini più immediati e semplici, da un “pubblico ministero-giudice”?”.
Giuseppe Finocchiaro, da parte sua, non ha dubbi: la seconda “è quella che mi dà maggiori tutele e garanzie”. Quali? Prima tra tutti, ne è convinto (d’altronde è quanto avviene oggi, dobbiamo intendere, ndr), “che il magistrato non svolgerà soltanto indagini per ottenere una condanna a mio carico, ma, in ossequio all’articolo 358, comma 1, del Cpp, svolgerà altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”.
