Il mondo nuovo avanza, tra inciampi, retromarce e fughe in avanti. Ma dalle parti di Bruxelles sembra che nulla riesca a scuotere le procedure e, soprattutto, le liturgie che reggono ancora i piedi con affanno il progetto europeo. Il voto di “sfiducia” a Von der Leyen è stata una recita a soggetto di una ri-fiducia a tempo che, in superficie sembra lasciare immutati gli equilibri. In realtà le braci covano sotto la cenere ma non si capisce bene chi ne sia uscito vincitore e se la presidente stia ormai correndo a gran velocità verso l’oblio.
Un dato è certo: a perdere è stata di nuovo la politica di fronte a tatticismo, riposizionamenti dell’ultima ora, sostegno di facciata e di convenienza alla presidente che ricordano tanto la famosa battuta di Nanni Moretti che recita “ma mi si nota di più se non vengo o se vengo e sto in disparte?”. La maggioranza Ursula ha compiuto un altro passo verso una mutazione genetica che la spinge sempre più a destra ma le basi non sono di certo le più solide. Dentro ECR, il partito dei conservatori si sta consumando una frattura che vede l’ala “sovranista” ritrovare, guarda caso, la storica sintonia con la Lega e il M5s, a riprova che certi amori non finiscono davvero mai quando il cuore batte al ritmo della demagogia.
Dall’altra parte, la componente che fa capo a Fratelli d’Italia e che, fatto non da poco, esprime in Raffaele Fitto, un commissario europeo di peso, ha scelto la posizione che una volta si chiamava “appoggio esterno”. Una strada che sembra avviata sempre di più verso un pragmatismo realista che non ammette facili scappatoie e che, come sempre, richiede di “governare dal centro” e di trasformare il quadro dei rapporti tra forze, lentamente, costantemente dall’interno. In tutto ciò c’è il destino della Commissione, della sua testa e dei rapporti ormai logorati con il Parlamento, organo che dovrebbe essere garante della voce dei cittadini che oggi ha optato per la scelta più logica o forse l’unica possibile. Ora. Ma domani, un domani molto vicino, si vedrà. È evidente che l’ex onnipotente Ursula, tanto onnipotente non lo è più. E non serviva il voto in aula per capirlo. Bastava un’analisi neanche troppo approfondita del riposizionamento dei governi europei su dossier fondamentali quali il Green Deal dove, per prima proprio la Germania, non risparmia retromarce e ceffoni a Bruxelles un giorno si e l’altro pure.
VDL ci prova a tornare protagonista e rilancia con la proposta di un nuovo pacchetto di accordi per due miliardi e trecento milioni di euro per «sbloccare fino a dieci miliardi di investimenti per ricostruire case, riaprire ospedali, rilanciare imprese, garantire l’energia» in Ucraina. Ma vista l’aria che tira il timore, che si fa quasi certezza, è che ancora una volta nessuno le darà seguito. E intanto, e non da oggi, sulle partite che contano, soprattutto quella militare, le potenze europee, senza troppe liturgie, vanno in ordine sparso e persino il Canale della Manica, che dopo la Brexit sembrava essere diventato un oceano, oggi torna ad essere poco più che un braccio di mare che unisce due litorali di nuovo vicini e amici.
Ecco allora, non a caso, la decisione di Gran Bretagna e Francia di dar vita a un patto atomico che prevede un ombrello nucleare e forza congiunta di 50 mila uomini a protezione dei nostri confini. Sarà scaltro opportunismo oppure l’istinto nel prevedere il dispiegarsi degli eventi propri di chi è sempre stato protagonista della Storia, con la S maiuscola. Ma a quanto pare la nuova Europa sta rinascendo da qui: non dalle stanche liturgie brussellesi ma dal rinnovato protagonismo dei governi. Il ritorno dell’Europa delle nazioni.
