L’Occidente è caduto nella trappola di Hamas e ripete a pappagallo: la guerra è colpa di Netanyahu

C’è una frase, a suo tempo attribuita a Golda Meir, che propone ancora una volta il dramma esistenziale di Israele. Rivolta ai nemici del popolo ebraico, la storica leader israeliana affermò: “Noi potremo perdonarvi di aver ucciso i nostri bambini, ma non vi perdoneremo mai di averci costretti ad uccidere i vostri”. In queste parole non vi era solo la pietas di chi ha conosciuto la sofferenza e udito per secoli l’assordante “silenzio degli innocenti”, ma anche la consapevolezza che a una democrazia si chiede sempre qualche cosa di più che vada oltre lo spirito di rivalsa, della vendetta, della legge del taglione. Ci sono delle linee rosse che una democrazia non può valicare, proprio per dimostrare – prima di tutto a sé stessa – di essere diversa e migliore di una tirannia.

Israele ha passato quei limiti? Si direbbe di sì, tenendo conto del coro di critiche che vengono rivolte al suo governo nelle ultime settimane. Bibi Netanyahu ha dovuto prendere atto che anche i Paesi alleati stanno abbandonando lo Stato ebraico, commettendo in parte il medesimo errore che – in malafede – perseguono i pro-Pal: attribuire a un popolo intero – e persino alla diaspora ebraica nel mondo – le responsabilità di un governo pro tempore la cui azione viene contestata prima di tutto in patria, dove la dialettica democratica non è mai venuta meno. Anche se, da quel tragico 7 ottobre, è in ballo la sopravvivenza di una nazione e sono praticamente inesistenti soluzioni alternative alla guerra; a meno che la comunità internazionale non ritenga che il destino di Israele sia in eterno quello di uno Stato/guarnigione condannato a convivere mitridatizzato dalla vicinanza con nemici mortali.

Hamas non ha mai dissimulato i suoi obiettivi. I massacri del 7 ottobre dovevano servire a interrompere quel processo di normalizzazione e di pace nell’area avviata con gli Accordi di Abramo. I terroristi contavano sulla reazione di Israele, auspicando che fosse feroce e sanguinosa e contando che determinassero l’isolamento internazionale dello Stato ebraico. In sostanza, Hamas sapeva di noi più di quanto conosciamo noi stessi. Aveva intuito che davanti ai bambini morti sarebbe venuto in superficie con violenza il fiume carsico dell’antisemitismo. Esiste un malanimo nei confronti di Israele che si spiega solo così. È toccato al vecchio Abu Mazen rivolgersi ai terroristi di Hamas chiamandoli “figli di cani” e invitandoli a consegnare gli ostaggi e a deporre le armi. Se qualcuno in Europa si azzardasse a fare un’affermazione simile, sarebbe “crocifisso in sala mensa”.

Non vi è mai stato uno sdegno reale nei confronti del mercanteggiare di Hamas sulla vita di ostaggi innocenti. Certo, non si può non provare compassione per quel popolo che gli schermi televisivi presentano in tutta la sua miseria e disperazione, costretto a vagare da un capo all’altro della Striscia per sottrarsi ai bombardamenti. Ma di chi è figlia quella condizione di indigenza? La Palestina è una terra che riceve fior d’assistenza da tutte le istituzioni internazionali, vi operano migliaia di funzionari dell’Onu o di altri organismi. Il fatto è che quel popolo è stato per decenni derubato da Hamas, che ha usato quelle risorse per la costruzione di una città sotterranea e per armarsi fino ai denti.

Prendiamo l’ultimo caso: Israele ha bloccato le forniture alimentari perché non finissero in mano ad Hamas. Per settimane abbiamo visto tanta povera gente mendicare qualche cucchiaio di riso, mentre tutti accusavano Israele di usare la fame come arma di guerra. Poi, quando una Fondazione si è assunta l’onere di sfamare gli affamati, Hamas ha minacciato rappresaglie se i palestinesi andranno a procurarsi quelle provviste. E questa cosa viene appena segnalata nei tg come se fosse un comportamento degno di comprensione. Persino Papa Francesco (in mezzo al coro di chi non voleva inviare armi) suggerì all’Ucraina di esporre la bandiera bianca perché aveva a che fare con un avversario più forte; nessuno ha provato a trasferire la richiesta ad Hamas. Per Gaza si sono fatte migliaia di manifestazioni anche violente; per solidarizzare con l’Ucraina, i promotori hanno dovuto usare le cartoline-precetto, mentre gli oratori dai palchi tuonavano contro l’invio di armi.

Vi siete mai chiesti perché le tv non hanno mai mostrato il cadavere di un bambino ucraino morto sotto i bombardamenti russi come fanno quotidianamente con le riprese nella Striscia? Quando a Bucha si scoprirono le prove delle stragi dei russi, in Italia ci fu un corrispondente di guerra in pensione che fu invitato in tutti i talk show a insinuare il dubbio, sulla base della sua esperienza, che si trattasse di una montatura. Per concludere in bellezza, anche il governo italiano ha preso le distanze da Israele. Non sarà un caso che questo orientamento coincida con la conferma di non autorizzare – unico Paese – l’Ucraina a usare le armi fornite dall’Italia per attaccare la Russia in profondità?