L’UE come don Abbondio: Trump tuona, noi balbettiamo

Quello che accadrà da qui al primo agosto è difficile da immaginare. Quello che invece è più prevedibile è che non dipenderà dall’Europa. Sui dazi USAUE tutto dipende solo da Trump, dalla sua volubile valutazione degli interessi americani (e suoi personali). Qualcosa può cambiare? Nella lettera inviata all’Unione Europea – che in tempi diversi avrebbe potuto essere definita “irricevibile” per toni e contenuti – non lo si esclude: “Potremmo, forse, considerare un adeguamento a questa lettera. Queste tariffe possono essere modificate, al rialzo o al ribasso, a seconda del nostro rapporto con il vostro Paese”. Nemmeno il garbo di modificare un testo standard: l’Unione non è un Paese. Ma questi sono dettagli. Resta il fatto che mentre il presidente Usa tuona, noi europei balbettiamo.

La prima reazione di Ursula von der Leyen è stata quella di convocare gli ambasciatori dei 27 Paesi dell’Unione. Forse era un atto definito dal protocollo. Forse era previsto da qualche regolamento comunitario. Certamente non era questo quello che sarebbe servito per dare la sensazione che a ricevere la lettera di Trump ci fosse un Governo. Un Governo vero, una responsabilità forte, un soggetto credibile e riconosciuto. Ma questo è tutto un problema europeo. Di fronte agli Stati Uniti, di fronte alla Russia di Putin, di fronte alla Cina, di fronte all’India, il Vecchio Continente sta certificando la sua sostanziale irrilevanza internazionale. In un coro mediatico che non smette di creare una visione artificiale di Bruxelles e di Strasburgo, l’Unione europea assume sempre più le sembianze di un don Abbondio, vaso di coccio, tra troppi vasi di ferro. Certamente la governance dell’UE, i suoi barocchismi, la sua deriva partitica proporzionalista non aiutano.

Una governance sotto schiaffo anche a livello parlamentare: la mozione di sfiducia presentata contro la presidente della Commissione è stata respinta, ma politicamente ha certificato una maggioranza friabile, che poi sul versante italiano ha dimostrato tutta la volatilità degli schieramenti: gli europarlamentari di Fratelli d’Italia non hanno partecipato al voto, la Lega ha votato sì, Forza Italia ha votato no; frantumato anche lo schieramento italiano di opposizione: il Pd ha votato no, M5S ha votato sì, come la Lega, Avs si è astenuta.
Al netto dell’ordine sparso delle rappresentanze italiane, il peso politico del voto su Ursula von der Leyen si protrarrà nel tempo, logorando quel poco di autorevolezza rimasta a Bruxelles. Finirà anche per indebolire, se ce ne fosse stato bisogno, il grande programma di riarmo voluto dalla UE. Così come abbiamo preso il gas americano, rinunciando a quello russo, pagando oggi la bolletta energetica più alta del mondo industrializzato. Così come ci siamo legati mani e piedi alle Big Tech americane, vere padrone dell’innovazione tecnologica a tassazione ridottissima.

Le armi servono quando c’è una unità di intenti, ma di fronte al saltimbanco della Casa Bianca, l’Unione europea si mostra divisa, quando non sceglie di obbedire. Meglio è andata alla Gran Bretagna, che questa volta ha guardato alla Brexit senza rimpianto, andando a negoziare direttamente con Trump, ottenendo un risultato assai migliore di quello che si prefigura per l’UE. C’è un problema europeo, che precede il conflitto e il negoziato con gli Usa sui dazi. Il problema europeo è che non c’è un’Europa, che non sia quella dipinta dai retori del politicamente corretto, o dai diretti beneficiati, come la casta degli italiani “europeisti” tanto ascoltati e apprezzati a Bruxelles: da Monti a Draghi, a Enrico Letta.

L’inconsistenza europea è fotografata dai continui pentimenti, cui si fa ricorso. Da Maastricht (troppo severo, peccato che lo abbiamo ammesso dopo aver fatto la fortuna momentanea della Germania) al Green Deal (troppo rigoroso e ideologico, giusto per affossare intere filiere dell’industria continentale). Il Vecchio Continente è come un coccodrillo imbolsito, nemmeno buono per diventare uno scattante alligatore, nell’immaginario malato dell’uomo della Casa Bianca.