Gli organi di informazione riconducibili alla sinistra iniziano a sostenere, curiosamente, che tutto sommato il futuro ‘campo largo’ proposto da Elly Schlein sarà molto simile al vecchio e mai dimenticato Ulivo. Un paragone alquanto ardito perché, per dirla subito con chiarezza, l’Ulivo nel suo zoccolo duro era una coalizione di centro sinistra appoggiata, a volte, anche da forze politiche – attraverso la famosa ‘desistenza’ – che non erano riconducibili all’alleanza ma la appoggiavano per una motivazione puramente elettorale.
E cioè si trattava di una alleanza politica, culturale, riformista, fortemente programmatica e con una spiccata cultura di governo. Cosa del tutto diversa, se non addirittura alternativa, rispetto ad una sommatoria di partiti, sigle e movimenti accomunati dal contrasto insanabile contro i nemici giurati: e cioè, le forze centriste da un lato e il centro destra dall’altro. Eppure, malgrado questo cambiamento radicale ed evidente, c’è ancora qualcuno che avanza la tesi singolare ed anacronistica della straordinaria somiglianza tra i due esperimenti politici.
Un progetto, quell’Ulivo, che superava la storica divisone tra una parte significativa degli ex democristiani – prevalentemente della ex sinistra Dc – e la stragrande maggioranza degli ex o post comunisti. Oltre ad una presenza politica laica, socialista ed ambientalista. Una alleanza cementata attorno ad un programma di governo che si riconosceva attorno ad una classe dirigente di livello e politicamente qualificata nonché fortemente rappresentativa di mondi culturali, sociali e politici diversi ma legati da una indubbia ed incontestabile cifra riformista.
Com’è del tutto naturale e persin oggettivo, il cosiddetto ‘campo largo’ molto caro alla segretaria del Pd Elly Schlein, è un progetto profondamente diverso dall’Ulivo, anche nella sua dimensione più ecumenica. In primo luogo perché si somma una sinistra radicale, estremista e massimalista – il Pd della Schlein – con un partito dichiaratamente populista e ancora fortemente demagogico e anti politico.
Il fatto che continui ad essere un partito, quello di Grillo e di Conte, privo di una precisa e definita cultura politica di riferimento, lo conferma in modo persin plastico. In secondo luogo la cifra riformista, tassello costitutivo del progetto ulivista, è un elemento del tutto secondario se non addirittura estraneo rispetto alla scommessa del ‘campo largo’. E questo perché il radicalismo estremista alleato con il populismo demagogico non si qualifica sul terreno riformista bensì, e al contrario, sul versante massimalista e della perenne contestazione.
Non a caso è la ‘piazza’ la sede virtuale della nuova sfida dei radical/massimalisti e dei populisti perché solo la ‘piazza’ può essere la leva decisiva e salvifica per dare la spallata finale al nemico politico. In ultimo, per fermarsi a questi tre soli esempi, il ‘campo largo’ esalta la radicalizzazione del conflitto politico e rinuncia a tutti quegli strumenti – a cominciare dalla cultura di governo, dalla cultura della mediazione e dalla costante e testarda ricerca della sintesi politica – che storicamente hanno caratterizzato le migliori stagioni del centro sinistra nel nostro paese.
Perché, appunto, quello che conta è la riproposizione della antica e mai sopita delegittimazione morale e politica dell’avversario/nemico e la sua sostituzione con chi, invece e al contrario, incarna il bene e la civiltà. Per questi semplici motivi quando sentiamo fare certi paragoni è bene non cadere nella trappola o nella propaganda. Perché un conto era la coalizione riformista, di governo e plurale dell’Ulivo. Mentre è tutt’altra cosa, anzi è il contrario, la sommatoria della sinistra radicale e massimalista con il populismo in versione italiana.
