Non è ancora molto chiaro se lo squilibrio negli assetti del governo del pianeta sia destinato a rappresentare una costante anche per il mondo che verrà oppure debba essere considerato una sventurata eccezione nell’attuale piega della Storia che esprime le più scombiccherate leadership nazionali dalla fine della seconda guerra mondiale ai giorni nostri. Certo è che sembra andare alla grande il principio-guida del filosofo empirista Wundt, il quale sosteneva che nella Storia i fini che vengono a determinarsi sono ben diversi dalle intenzioni con cui gli uomini hanno concepito le azioni per produrli. In altre parole: ti impegni fino allo spasimo per predisporre un risultato a te favorevole ed ecco che la tua azione produce una cosa del tutto diversa, anzi opposta e a te ostile. Si prenda, ad esempio, l’invasione russa in Ucraina.
I geopolitici di professione ci hanno spiegato che Putin si decise a tornare sul teatro di guerra dopo la prima “operazione” del 2014 incoraggiato dalla fuga degli americani e di tutto l’Occidente dall’Afghanistan, dalla consolidata opinione che l’alleanza atlantica non la voleva più nessuno (America in testa) e dalla tiepidezza con cui gli occidentali più prossimi, vale a dire gli Europei, avevano guardato (diremmo meglio “non avevano guardato”, girandosi dall’altra parte) all’annessione della Crimea nel febbraio del 2014, lasciandogli immaginare di chiudere il capitolo Ucraina in un amen. Sappiamo com’è andata: l’eterogenesi dei fini ha colpito, rianimando la Nato, data per morta e riuscendo perfino a fare dell’Europa quasi un attore politico nella vicenda ucraina. Seppur tardivo.
Il protagonismo europeo, infatti, comincia a farsi datare da un evento recente, il summit di Roma per la ricostruzione dell’Ucraina, che ha avuto la forza di allineare 100 delegazioni e tutto l’Occidente, America e Regno Unito comprese. In verità l’ha fatto attorno ad un’occasione formale circonfusa di atmosfera surreale- ben allocata, dunque, nella Nuvola di Fuksas- perché non è che uno si aspetti di distribuire appalti per la ricostruzione del territorio quando sei nel pieno di una guerra che non sembra mostrare nessuna svolta conclusiva e la portata dei confini appare piuttosto incerta. Si pensi che Odessa, che nell’ipotetica prospettazione ricostruttiva sarebbe stata opzionata dalle imprese italiane, rappresenta l’obiettivo prioritario di conquista dell’esercito russo, tanto per capire di che cosa si sta parlando. Cionondimeno l’occasione del summit romano porta con sé un effetto collaterale non t
rascurabile: è plausibile salutare una ripartenza europea visibilmente coesa di fronte ad un passaggio cruciale che la tocca molto da vicino.
Ma, attenzione, anche qui scatta, come una maledizione di Tutankhamon, l’eterogenesi dei fini. Stavolta viene dalla Cina, superpotenza solitamente adusa a posture che appaiono gentili o elusive come certi personaggi cinesi della letteratura d’evasione occidentale, in genere saggi collaboratori familiari o commercianti di chissà cosa, ma che stavolta intima chiaro e tondo all’Europa (e a Trump) di non provare neppure a pensare di umiliare Putin, perché la guerra in Ucraina deve continuare fino a che il leader russo non sarà soddisfatto. Così la Cina coglierebbe un paio di effetti collaterali favorevoli: il primo quello di tenere impegnato Trump in modo da allentare il peso del conflitto, non solo commerciale, con Xi. Il secondo affermare la sua leadership assoluta nell’emisfero del mondo che confligge con l’Occidente con sottolineature molto nette (“se avessimo aiutato la Russia avrebbe già vinto”) dal tono di minacce che implicitamente retrogradano la Russia da super potenza globale ad attore regionale coperta dal mantello cinese. Tutto questo mentre è in corso il summit Ue-Cina.
Niente male come eterogenesi di Wundt in una Ue che, nell’affanno di mettere una pezza al danno emergente dalla guerra dei dazi, aveva ripreso a guardare ad una possibile via della seta. Proprio adesso che persino il misterioso sorriso della millenaria diplomazia cinese tende ad assumere le forme del ghigno ombroso del potente prepotente.
