Macron e il riconoscimento della Palestina: più che diplomazia, un segnale interno. Ma il rischio è che legittimi l’odio

Nel tentativo di placare le tensioni internazionali, Emmanuel Macron potrebbe aver innescato una miccia ancora più vicina e pericolosa: quella dell’odio antiebraico che fermenta da anni nelle banlieues francesi. In Francia, negli ultimi mesi, l’aria si è fatta pesante. Gli episodi antisemiti si moltiplicano, non solo nei quartieri difficili ma anche nei licei, nelle università, sui social e nei media. Si moltiplicano in nome della “causa palestinese”, che da questione geopolitica è diventata – nel cuore dell’Europa – un vessillo identitario per gruppi radicalizzati. L’odio verso Israele serve da schermo per l’odio verso gli ebrei.

La decisione di Macron

In questo contesto, la decisione del presidente Macron di riconoscere formalmente lo Stato di Palestina – annunciata pubblicamente e con toni risoluti – appare, più che un gesto diplomatico, un segnale interno. Un messaggio rivolto alle periferie musulmane francesi. Un tentativo di placare, di riequilibrare, di contenere il malessere che si trasforma spesso in rabbia contro “gli ebrei”, indistintamente. Ma non solo, anche contro i francesi e l’Occidente tutto. Il problema non è il principio – discutibile o meno – del riconoscimento palestinese. Il problema è il contesto sociale e culturale in cui avviene. Perché se nelle cancellerie europee questo gesto viene letto come una spinta verso la soluzione a due Stati, nelle banlieues viene percepito come una vittoria. Non della pace, ma dell’odio.

Il rischio

Non è Israele il bersaglio, è “l’ebreo”. Non si fa distinzione tra cittadino israeliano e francese di religione ebraica. Il rischio concreto è che il messaggio recepito sia: “La Francia ci ha dato ragione. Avevamo diritto di disprezzarli. Il nostro odio è legittimo”. E questo, in una Francia già profondamente divisa, non è un rischio teorico. È una bomba sociale a orologeria. Macron è apparso in difficoltà nella gestione della frattura identitaria francese, e potrebbe aver pensato che un gesto simbolico come il riconoscimento dello Stato palestinese potesse alleviare la tensione, calmare le piazze, disinnescare la polarizzazione. Ma è più probabile che otterrà l’effetto contrario: rafforzare la narrativa dei più radicali, che ora si sentono convalidati, incoraggiati, spalleggiati dallo Stato. La “causa palestinese” in Francia, e non solo, non è più un tema di solidarietà umanitaria, ma uno strumento ideologico, un’arma identitaria usata per legittimare atti di odio, di esclusione, soprattutto di violenza. Lo dimostrano le aggressioni, gli slogan, i boicottaggi, gli insulti contro chiunque sia ebreo o ritenuto vicino a Israele. Il riconoscimento della Palestina, in sé, potrebbe anche avere un senso sul piano diplomatico. Ma andava innanzitutto concertato con gli altri Stati, almeno quelli europei, accompagnato da un messaggio chiaro, forte e inequivocabile: Israele ha diritto a esistere e a difendersi; l’antisemitismo è un crimine; la Francia non cede a ricatti ideologici mascherati da attivismo, e soprattutto non abiura il suo laicismo di Stato consentendo derive integraliste.

Il prezzo dell’ambiguità

Macron non ha fatto abbastanza per delimitare il campo. Non ha detto con chiarezza che la difesa dei diritti dei palestinesi non implica la demonizzazione di Israele né, tantomeno, l’odio verso gli ebrei. E ora questo vuoto verrà riempito da chi grida più forte. Da chi usa ogni concessione come un passo avanti verso l’abolizione simbolica dello Stato ebraico. Da chi, in nome di un presunto anticolonialismo, coltiva una nuova forma di antisemitismo, travestita da progressismo. La Francia di oggi, come l’Europa intera, non può più permettersi ambiguità. Il riconoscimento della Palestina non può essere un lasciapassare per l’odio. Altrimenti, nel tentativo di “pacificare” il conflitto mediorientale, finiremo per importarlo, moltiplicarlo, radicalizzarlo proprio nel cuore delle nostre città. E, ancora una volta, saranno gli ebrei a pagare il prezzo più alto della nostra ambiguità.