Crack a Palermo non è il rumore delle ossa quando si rompono, non è il legno quando si spezza. Crack a Palermo c’entra con la voce rotta dall’emozione di un padre che risponde al telefono parlandomi del figlio Giulio, morto per overdose a diciannove anni. Diciannove anni nel 2022 e ormai per sempre. Crack a Palermo porta con sé l’eco di passi raminghi di solitudini spettrali a pochi metri dalla Cattedrale, lo sguardo assente di chi ha appena assunto la sua dose giornaliera – costa solo 5€ e la prima volta lo spacciatore la regala anche – il nervosismo di chi elemosina gli ultimi spiccioli ai passanti perché ormai dalla gabbia della dipendenza è difficile uscirne.
Crack a Palermo, a Ballarò per esattezza, porta lo sdegno e la rabbia degli abitanti, delle associazioni, dei genitori, della Chiesa. Porta con sé la voce vibrante dell’arcivescovo Lorefice che si dichiara sgomento “per le vite dilaniate dei nostri giovani, presi d’assalto da accaniti spacciatori di crack, venditori di una felicità contraffatta che stravolge i sentimenti, corrode la mente e distrugge i corpi”. Crack in città porta il primo pianto di due gemellini appena partoriti e già positivi alla droga. Crack a Palermo è la storia di bambini di dieci anni che iniziano per gioco in quella periferia urbana, nascosta ai turisti dalle ricchezze del centro e dai colori e sapori del mercato. A quattordici anni sono già “esperti” consumatori.
Porta il dolore di famiglie abbienti o meno – il crack non fa differenze – distrutte. Crack a Palermo riporta la mattanza, niente autobombe, nessuna vittima eccellente – giovanissime vite spezzate dal volere mafioso che le tenta, le stringe e dose dopo dose le annienta. Crack in città è la storia di Giulio, di Diego, di Noemi, di Serena e delle decine di giovani che ogni anno perdiamo, nelle loro stanze, in cliniche, per strada. Vittime di mafia ieri, oggi e domani e saranno sempre di più se lo Stato non si dimostrerà presente e all’altezza della sfida.
