“Magistrati e giustizia, dalla crisi si esce solo con le riforme”, parla Marasca

Lo strappo all’interno dell’Anm napoletana con le dimissioni di alcuni magistrati, la necessità di riforme, di una progettualità politica e della cultura garantista, e poi gli scandali sulle nomine e le polemiche per i magistrati in politica. Nella Giustizia e nel mondo dei diritti serve un cambio di passo. «Me lo auguro», afferma Gennaro Marasca, magistrato in pensione, già componente del Consiglio superiore della magistratura e presidente di sezione della Corte di Cassazione. «Sono stato esponente di Magistratura Democratica e il garantismo è la nostra cultura. Mi auguro – aggiunge – che nella magistratura, come negli altri corpi sociali intermedi, ci sia un dibattito culturale vivace ma corretto, e che in politica si possa arrivare a un dibattito sereno, centrato su progetti, programmi e realizzazioni compiute, mentre oggi non si fa altro che attaccare l’avversario per denigrarne la persona».
Quanta distanza c’è tra la magistratura e la società, tra il mondo della Giustizia e quello dei cittadini che attendono anche tempi biblici per un processo?
«I mali della magistratura sono i mali della nostra società. Noi magistrati non veniamo da Marte o da chissà dove, ci nutriamo della cultura di questa società e ne abbiamo tutti i pregi e i difetti. Prima degli anni ’70 la magistratura non usufruiva molto della sua indipendenza e autonomia, erano in genere persone che provenivano da una classe sociale simile alla classe sociale che politicamente governava il Paese. Dal ’70 in poi si ruppero questo equilibrio e il corporativismo che esisteva nella magistratura, e dall’interno noi di Magistratura Democratica denunciammo le lentezze e gli errori commessi dalla categoria. In quel periodo si liberarono delle forze importanti, frutto di un accrescimento dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, ma poi si verificarono delle degenerazioni. Correnti, nate e vissute sulla base di principi ideali importanti, si sono trasformate nel tempo in gruppi di pressione finendo col difendere i propri iscritti in una degenerazione di tipo clientelare che è sfociata, emergendo in tutta la sua drammaticità, nella vicenda Palamara, che non è certo l’unico ad aver usato queste pratiche. Credo che questo sia dipeso dall’affievolirsi degli ideali che avevano ispirato la nascita delle correnti e dei gruppi associativi, il che ha determinato il prevalere di logiche di amicizia e di clientela, che in magistratura non dovrebbero esserci nella maniera più assoluta».
Le correnti, dunque, non andrebbero demonizzate?
«Per me l’esperienza nell’associazione è stata di fondamentale importanza, negli anni ‘90 ma anche in tutti gli anni ’70 e ’80. Si contrapponevano modi diversi di guardare alla giurisdizione e legittimamente c’erano visioni diverse. C’era una competizione e questo credo che abbia contribuito a una crescita della magistratura molto importante».
Come uscire dalla crisi attuale?
«Talvolta, come dicevano i latini, è necessario che gli scandali si verifichino. Ritengo che la magistratura abbia al suo interno le capacità e le forze per reagire e porre termine a queste pratiche. Sono però necessarie anche delle riforme perché questo processo venga aiutato e possa produrre effetti. Riforme sia sul piano ordinamentale sia sul piano dei tempi processuali. Non si può sperare soltanto in un recupero delle idealità del passato, occorre anche intervenire in qualche modo».
Questo, inoltre, è il periodo delle polemiche per i magistrati in politica, mi riferisco al caso di Catello Maresca. Lei è stato assessore nella prima giunta Bassolino, cosa ne pensa?
«Da tecnico prestai la mia capacità per affrontare determinati problemi in giunta. All’epoca non svolgevo funzioni giudiziarie e non mi sono mai presentato alle elezioni né sono mai stato iscritto a un partito politico. Penso che bisogna stare molto attenti, specialmente quando si chiede il voto popolare e ci si presenta alle elezioni. Io, francamente, sono un po’ perplesso di fronte al fatto di candidarsi nella zona dove si sono esercitate funzioni giudiziarie: non mi piace molto, c’è il rischio, anche se si è persone perbene e bravi magistrati, di ingenerare il dubbio di aver favorito alcuni e sfavorito altri. E questo è un dubbio che non si deve mai far sorgere nel cittadino. Quindi starei molto attento a questo e starei anche molto attento al rientro in magistratura dopo un’esperienza politica».