Mamdani, il sindaco che sembra progettato nella Silicon Valley. Ma non sarà lui a sfidare Vance alle prossime presidenziali

New York City mayor-elect Zohran Mamdani talks to reporters at a news conference in New York, Monday, Nov. 17, 2025. (AP Photo/Seth Wenig)

Del nuovo sindaco di New York si è detto tutto e il contrario di tutto. È passato attraverso le analisi più severe e, come ormai da tradizione, è diventato subito il nuovo Papa straniero dei progressisti di casa nostra.

Nell’ordine è stato presentato come il nuovo Che Guevara, la punta di diamante dell’islamismo dalla faccia buona che ha il piano occulto di distruggere l’Occidente. Poi è stato subito trasformato in un’icona dei diseredati globali, un epigono della lotta contro il caro affitti, alleato ideale di Ilaria Salis. E, di nuovo, l’angelo dell’apocalisse per ricchi banchieri, spietati finanzieri e affamatori di popoli di ogni sorta.

Mamdani in pochi giorni ha surclassato nel gradimento nostrano persino Francesca Albanese, “costretta” a ripiegare su un’intervista-confessione al borghesissimo Corsera, tanto per ricordare ai fan che esiste ancora e lotta insieme a noi. Ma si sa, il fascino d’oltreoceano ha sempre un altro sapore e se il buongiorno si vede dal mattino c’è poco da stare allegri: il suo primo atto è stato nominare a capo del gabinetto una “attivista” antisraeliana. Auguri. E in un batter di ciglia ecco che il nuovo primo cittadino della Grande Mela è assurto in cielo, icona invincibile del revanscismo anti-trumpiano che ha riscoperto verve e speranza, neppure fosse apparso l’arcangelo Gabriele ad annunciare il futuro Messia. E allora via con i voli pindarici: Mamdani profeta della Nuova Internazionale, Mamdani nuovo Obama, “salvatore” di ciò che resta del Partito Democratico o, per paradosso, virus che lo consuma dall’interno fino alla generazione di una nuova formazione che nasca dalle sue ceneri.

Ma, a ben vedere, due sono le uniche “certezze” che si possono, con onestà, individuare fino ad ora. Poca cosa si dirà, ma questo consentono i fatti e il tempo. La prima è che Mamdani per Trump rappresenta la certezza di un consenso elettorale dell’altra America che, spaventata dalla patina ultra liberal del sindaco, radicalizzerà ancora di più la propria fiducia nel leader Maga. Perlomeno all’inizio. Una cambiale in bianco si direbbe. E lo stesso presidente pare aver liquidato l’elezione con la consueta protervia che lo distingue. Ma in questo caso con qualche ragione.

Il secondo punto riguarda ciò che Mamdani davvero rappresenta. Lasciamo pur stare le sue frequentazioni con il figlio di Soros che gli hanno fruttato un po’ di milioni di dollari utili alla campagna elettorale. Il punto vero è che il sindaco è un perfetto algoritmo, una figura pubblica costruita ad arte che cambia espressione, tono, persino linguaggio e cadenza alla bisogna. Inflessione popolare quando cammina per strada, vocabolario forbito quando si rivolge ai finanziatori o passeggia per il campus della Columbia, armamentario verbale e immaginistico da agitatore quando interagisce coi supporter o con gli attivisti per i diritti. E il repertorio non si ferma qui. Più che un candidato, ora eletto, fino ad oggi è sembrato un ologramma, un prodotto di quel transumanesimo multiculturale che è la matrice di quel mondo d’élite di cui è il furbo prodotto. “Tutto chiacchere e distintivo” si diceva un tempo. Più che altro ricorda un po’ un clone del perfetto democratico progettato in qualche laboratorio della Silicon Valley.

Il sospetto, per citare un famoso film, è che sotto il vestito ci sia poco. Ci si augura di no, più che altro per i suoi concittadini. Compresi quelli che non lo hanno votato. Un fatto è certo. Le sue ambizioni si fermano di fronte alla Costituzione che vieta l’ingresso alla Casa Bianca a chiunque non sia nato sul suolo statunitense. Non sarà lui dunque a sfidare presumibilmente JD Vance alle prossime presidenziali. E allora anche i democratici di là dall’oceano dovranno seguire i nostri e cercare altrove il proprio Papa. La strada è lunga ma forse neanche così tanto e di Mamdani non ne nasceranno presto altri. Vincere a NY per la sinistra è quasi una non notizia. La scommessa sarà far incarnare l’attuale ologramma in salsa woke in un corpo e in un programma credibile e tentare la sfida. Staremo a vedere.