Fili, stoffa, sassi, legno, acqua e farina. L’arte di Maria Lai, una delle artiste italiane più significative del nostro tempo, utilizza elementi semplici per realizzare opere che possiedono una dimensione intensamente spirituale: fino al 15 ottobre una selezione di quaranta suoi lavori è in mostra nel bel palazzo Dosi Delfini di Rieti, con il titolo “Il pane del cielo”, curata dal direttore del museo Novecento di Firenze, Sergio Risaliti, e dalla storica dell’arte Eva Francioli. Lai coltivava la sacralità delle piccole cose realizzando i suoi lavori con materiali poveri, che appartengono alla tradizione e alla gestualità rituale, ispirandosi alle usanze arcaiche della Sardegna – terra di cui era figlia orgogliosa – e alle attività tradizionali: la panificazione, la tessitura a telaio, il ricamo, la lavorazione della terracotta, oltre alle celebri performance di arte relazionale in cui coinvolgeva intere comunità. Grazie alla sua capacità di esprimere la poesia intrinseca del quotidiano è stata scelta dal Comitato nazionale per l’ottavo centenario della prima rappresentazione del Presepe Greccio 2023 per rendere omaggio a San Francesco, santo della povertà e poeta della semplicità.
«Abbiamo incrociato i temi francescani e quelli di Lai», spiega Risaliti, «a partire dal pane, elemento primario di una cultura povera, simbolico e spirituale, con cui l’artista opera una transustanziazione poetica trasformandolo in linguaggio artistico universale; per arrivare alla relazione con il mondo naturale degli animali, fino alle mappe celesti che Maria ricreava con stoffe e fili». Una narrazione artistica capace di congiungere terra e cielo, uomo e animale, materiali umili come la pietra e gloriosi come l’oro.
Punto di partenza è un presepe fatto di ceramica, legno e vernice esposto dal 2019 al museo Novecento in comodato, una rilettura contemporanea della rappresentazione della natività che San Francesco fu il primo a voler riprodurre in una grotta a Greccio: «Amo il presepe come esperienza di qualcosa che, più ne indago l’inesprimibile, più trovo verità, più divento infantile e ingenua, e più rinasco», diceva l’artista, che ha realizzato diverse versioni di questo soggetto in dimensioni molto ridotte, quasi in contrasto con la grandezza storica dell’evento – spesso frammentati e incompleti, eco della precarietà umana.
Tra le opere scelte per l’esposizione c’è anche un pane in terracotta, elemento simbolico al centro della liturgia cristiana, che l’artista ha proposto in diverse opere, alcune proprio in materiale organico, come nel caso del “Pupo di pane”, anch’esso esposto a Rieti.
E poi il ciclo delle Geografie, teli in cui i fili imbastiti sembrano tracciare percorsi astronomici, mappe astrali che, come diceva la stessa Maria «rispondevano all’esigenza di un rapporto con l’infinito, di una dilatazione e proiezione sulle lontananze». Uno slancio verso l’infinito a partire da un gesto concreto e terreno come quello di cucire, legato alla storia più antica dell’uomo in una comunione di estremi che ha il sapore dell’assoluto.
Diversi anche i quaderni di stoffa, in cui pensieri e aforismi sono ricamati sulle pagine unendo testo, gesto e immagine in una combinazione evocativa e simbolica.
Infine le rappresentazioni del creato: disegni e sculture di animali, capaci di esprimere quello stesso amore per la natura che traspare dal Cantico dei cantici, e che Maria Lai è capace di rendere visibile in modo giocoso e infantile, ritraendo lepri, furetti, ricci, lucertole, bruchi.
«La mostra di Maria Lai ci porta dentro una riflessione sul “sacro contemporaneo”, ispirato ai segni francescani così presenti in Valle Santa ma assolutamente universale», dichiara Paolo Dalla Sega, manager culturale del Comitato nazionale, con cui i curatori hanno collaborato per l’esposizione. «Maria Lai ci insegna che l’artista non può mai essere schiacciato in relazioni specialistiche o sociologiche: la grande arte è interconnessione tra livelli e realtà, tra visibile e invisibile, tra passato e futuro, è un principio di relazione globale», conclude Risaliti.
