Mario Paciolla, i genitori dell’operatore Onu denunciano l’organizzazione: “Un muro di gomma, hanno manomesso la scena del crimine”

Non credono affatto alla versione ufficiale, quella che parla di suicidio. Anna e Pino, i genitori di Mario Paciolla, il 33enne napoletano trovato morto impiccato ad un lenzuolo il 20 luglio 2020 nella sua abitazione di San Vicente, 500 chilometri a sud di Bogotà, in Colombia, dove lavorava per le Nazioni Unite, chiedono giustizia.

Affidandosi ad un team di legali, gli avvocati Alessandra Ballerini (legale anche della famiglia di Giulio Regeni), Emanuela Motta e German Romero Sanchez (difensore in Colombia), hanno denunciato le Nazioni Unite che continuano a non rispondere a ogni richiesta di verità.

A scriverlo è Oggi, che pubblica una intervista ai genitori di Mario. Anna e Pino non hanno mai creduto alla versione ufficiale, ovvero al suicidio del figlio. “Nostro figlio amava la vita, aveva progetti a brevissima scadenza e nessun motivo per uccidersi con un biglietto aereo in tasca e la valigia pronta a poche ore dalla partenza per Napoli, la sua città”, spiegano al settimanale.

Allo stesso tempo non erano a conoscenza del lavoro delicato che il figlio conduceva in Colombia, in particolare sul rapporto stilato da Mario sul bombardamento dell’esercito colombiano contro un accampamento delle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) costato la vita a sette minori, che aveva poi costretto alle dimissioni il ministro della Difesa Guillermo Botero. Anche per questo Paciolla aveva anticipato il suo rientro in Italia.

L’atto di accusa di Anna e Pino Paciolla contro le Nazioni Unite è gravissimo, evidenziano in particolare le presunte manomissioni alla scena ‘del crimine’, di quello che dalle autorità colombiane e dalla stessa Onu è stato fatto passare per suicidio.

Quello che ci sconcerta è il muro di gomma da parte dell’Onu… È inverosimile che il capo della sicurezza dell’Onu Christian Thompson e il suo superiore Juan Vasquez non fossero a conoscenza dei protocolli in caso di morte di un loro dipendente”, spiegano i genitori di Mario.

Thompson “si si è introdotto da solo per trenta minuti in casa di Mario prima dell’arrivo degli agenti, inquinando la scena del crimine e prelevando oggetti appartenuti a nostro figlio. E dopo due giorni, Thompson si è nuovamente recato nell’abitazione per ripulirla con la candeggina, gettando in una discarica tutto ciò che era parte della scena del crimine, facendo sparire ogni traccia utile per l’indagine sull’omicidio di Mario”.

Per questo, oltre a loro due, i genitori di Mario hanno deciso di denunciare anche i quattro agenti di polizia “che hanno consentito questo gravissimo atto ritenendoli tutti e sei coinvolti nell’occultamento delle prove.