Maltratta la moglie ma il pm chiede l’assoluzione: “E’ un fatto culturale, lei sapeva”. Dopo le polemiche delle scorse ore, la procura di Brescia si dissocia dalla richiesta di assoluzione avanzata dal magistrato per un uomo del Bangladesh accusato di aver maltrattato la moglie e “ripudia qualunque forma di relativismo giuridico, non ammette scriminanti estranee alla nostra legge ed è sempre stata fermissima nel perseguire la violenza, morale e materiale, di chiunque, a prescindere da qualsiasi riferimento ‘culturale’, nei confronti delle donne”.
In una nota firmata dal procuratore Francesco Prete, la procura bresciana precisa che le “conclusioni rassegnate dal pm nel processo a carico di Hasan Md Imrul non possono essere attribuite all’ufficio nella sua interezza, ma solo al magistrato che svolge le funzioni in udienza”. Le richieste di “ispezioni ministeriali ci lasciano assolutamente tranquilli” conclude la nota.
Una dura presa di posizione dopo le motivazioni presentate da un pm della stessa procura nella richiesta di assoluzione dell’uomo del Bangladesh, denunciato per maltrattamenti dall’ex moglie, perché “la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura”, un “fatto culturale” che la vittima aveva “persino accettato in origine”.
La donna, 27enne di origini bengalesi ma con cittadinanza italiana, madre di due figlie, in patria era stata costretta a sposare un cugino con un matrimonio combinato. Poi nel 2019 la separazione e la denuncia per maltrattamenti fisici e psicologici. Già in passato la Procura di Brescia aveva chiesto l’archiviazione del procedimento, richiesta rigettata dal gip che ha ordinando l’imputazione coatta per lo straniero nato e cresciuto in Bangladesh.
Incredula la 27enne: “La cultura di origine non può essere una scusa. Sono stata trattata da schiava. Dove è la giustizia e la protezione tanto invocata per le donne tra l’altro incoraggiate a denunciare al primo schiaffo?”. In una intervista al Giornale di Brescia la donna ricorda l’incubo vissuto: “Sono stata picchiata e umiliata. Costretta al totale annullamento con la costante minaccia di essere portata definitivamente in Bangladesh”, ma aspetta fiduciosa la decisione del giudice: “Non posso pensare e credere che in una nazione come l’Italia si possa permettere a chiunque di fare del male ad altri impunemente solo perché affezionato a una cultura nella quale la donna non conta nulla e l’uomo può su di lei tutto, anche porre fine alla sua vita. Solo per una questione di obbedienza culturale. Ciò in Italia non può accadere”.
