Tremilacentosessantasette giorni sul Colle d’Italia: il più alto per la grandezza delle responsabilità che comporta. Sergio Mattarella da oggi è l’uomo che più a lungo ha ricoperto il ruolo di Presidente della Repubblica. Un record che però, non basta per misurare lo spessore di uno statista mite, sobrio, a volte (solo) apparentemente introverso, ma estremamente determinato. L’Italia dal 31 gennaio 2015 – quando grazie alla determinazione dell’allora premier e segretario Pd, Matteo Renzi, Mattarella venne eletto la prima volta – è guidata da un uomo che ha fatto del servizio alle istituzioni la propria ragione di vita. E ha deciso di fare questa scelta di campo in un giorno preciso: il 6 gennaio del 1980. È il giorno dell’uccisione nella ‘sua’ Palermo, per mano della mafia, del fratello Piersanti, presidente di Regione che ‘cosa nostra’ non apprezza. Sergio Mattarella parla di questo episodio, in una delle rarissime occasioni in cui sceglie di farlo, in un’intervista alla Cnn nel marzo 2015. Ascoltare quelle parole, pronunciate con il dolore e la dignità più profondi, è essenziale per capire chi è che cosa arde dentro l’animo di un uomo che avverte così forte il senso del dovere, delle istituzioni, dello Stato.
Da quei momenti nulla sarà più come prima per Sergio Mattarella: che da apprezzato docente di diritto costituzionale, amatissimo dai suoi studenti eppure schivo verso ogni forma di esposizione pubblica, decide che è arrivato il momento di impegnarsi in prima persona. Per raccogliere l’eredità e i valori del fratello e continuare a farli vivere: nel partito, la Democrazia cristiana, e nelle istituzioni. Perchè prima di tutto Mattarella è da sempre questo, un servitore dello Stato. Poi, certo, è stato anche un uomo di parte, in taluni casi orgogliosamente di parte: a patto che quella parte coincidesse con i propri valori della legalità, trasparenza, coerenza con i valori costituzionali. Non ha mancato di darne prova durante tutto il suo percorso politico e istituzionale. Fin da quando, da capo del collegio dei probiviri della Dc nell’81, si rende protagonista di una serie di espulsioni e sospensioni dopo lo scandalo della P2 e l’avvio della Commissione d’inchiesta guidata da Tina Anselmi. Oppure quando al congresso regionale della Dc siciliana nell’83 con uno stratagemma regolamentare impedisce alla corrente ritenuta infiltrata dalla mafia, guidata da Vito Ciancimino, di prendersi il partito.
E ancora quandaro ha servito da vicepremier e poi ministro della Difesa nei Governi D’Alema, ruoli dai quali ebbe il difficile compito di gestire, seguire e motivare il travagliato (ma necessario) intervento militare in Kosovo. Senza dimenticare, poi, l’atto forse politicamente più vistoso: le dimissioni, da Ministro della Pubblica istruzione, assieme ad altri 4 ministri Dc (Martinazzoli, Misasi, Fracanzani, Mannino) in polemica per l’approvazione della riforma del sistema radiotelevisivo che portava il nome di Legge Mammì. Considerandola un indebito favore a beneficio dell’imprenditore Silvio Berlusconi.
Era il luglio 1990: non c’è da sorprendersi se 23 anni dopo lo stesso Berlusconi ha posto il veto su Mattarella (nel frattempo divenuto giudice costituzionale) durante l’incontro con Pierluigi Bersani ed Enrico Letta sul nome da proporre per l’elezione del Capo dello Stato. In quell’aprile del 2013, per l’incapacità politica dei leader dei partiti di allora, si arrivò alla clamorosa rielezione del presidente della Repubblica in carica, Giorgio Napolitano. Fu la prima volta che un presidente uscente venne confermato. È vero che la Costituzione non pone limiti, ma fu una violazione delle prassi, un “precedente” che – si disse – rischiava di essere ripetuto in futuro.
Lo sapeva bene anche lo stesso Mattarella (anche se fu proprio lui nell’agosto ’98 al Corriere della Sera ad avanzare l’ipotesi di un bis per Oscar Luigi Scalfaro). Non a caso alla fine del suo settennato chiese pubblicamente – in modo reiterato e nonostante le plateali esortazioni a proseguire – di non essere rieletto. Le cose andarono diversamente: il 29 gennaio del 2022, per la seconda volta consecutiva dopo il caso-Napolitano del 2013, il Capo dello Stato in carica viene confermato da un parlamento paralizzato dai veti incrociati. Alla fine, nel pieno della tempesta, tutti (anche i leader che pochi anni prima ne avevano chiesto l’“impeachment”) si appellano al faro più luminoso. Confermando l’eccezione alla regola del singolo mandato presidenziale, ma compiendo una scelta positiva per l’Italia. Buon lavoro Presidente.
