“Cinque anni fa ho smesso con l’alcol pesante, però poi qualche mese fa mi sono detto: ho 72 anni, perché devo morire infelice? Allora ho ricominciato a bere, ma con moderazione. Per essere precisi: con moderazione esagerata”, inizia così la lunga intervista che Mauro Corona ha rilasciato al Corriere. Tra carriera, famiglia, amicizia e scalate, lo scrittore si è raccontato a tutto tondo. Nato nel 1950 a Baselga di Piné, Trento, cresciuto a Erto, ha sempre vissuto tra le montagne. “Ma io la fame vera l’ho conosciuta, mica come quelli che oggi scrivono di montagna solo dopo averci fatto due passi. Io lo so che cosa significa spaccare la legna, pascolare le capre. A tredici anni facevo questo e forse la fatica era meglio del dolore che c’era in casa”, racconta.
Lo scrittore parla della sua infanzia, di quando sua madre lasciò lui, suo padre e i suoi fratelli dopo la nascita del terzo figlio. “E quando tornò, anni dopo, fu anche peggio. Con mio padre litigavano tutti i giorni, bevevano e un giorno si addormentarono ubriachi per non svegliarsi mai più. Lo vede questo taglio sulla mano? Non è stata la montagna, è stato mio padre con un coltello. Dio l’abbia in gloria”. Un’infanzia trascorsa con i nonni. “Alla Befana nonna ci portava il carbone. Noi bestemmiavamo perché non riuscivamo a capire che cosa avessimo fatto di male. Solo pochi anni fa ho capito: lei non aveva soldi per i regali e il carbone era la cosa più facile da procurarsi. Quanto l’ho maledetta, mia nonna. Ma se oggi fosse qui le direi: “Vieni a sederti qui, vieni a bere un goccio di grappa con me”. La abbraccerei. Mio nonno diceva solo due parole al giorno. Ma mi mise in mano un coltellino. Cominciai a scolpire nasi, occhi, teste nel legno. Lui mi guardava e non diceva niente. Per me allora scolpire diventò come parlare. Ero un bambino povero, ma sapevo fare cose belle. Poi scoprii i libri”.
Una passione quella per la lettura quasi salvifica e che ha ereditato da sua madre. “Mia madre se n’era andata ma ci aveva lasciato una libreria piena di romanzi come Don Chisciotte o I Miserabili. Cominciai a leggere: mi sembrava, così, di averla ancora con me. Quando poi ci mandarono in collegio, a me e al Felice (uno dei fratelli di Corona, ndr) a Pordenone, al Don Bosco, ci chiamavano i selvatici, perché non avevamo mai visto una città. Sotto ai tavoli ci rifugiavamo. Ma io sapevo leggere, i preti lo capirono subito. Mi passavano romanzi, mi incoraggiavano a scrivere. Mi sono fatto da solo. E anche oggi lo sa qual è la cosa che ancora mi ferisce fino a farmi sanguinare? Quando qualcuno insinua che i miei romanzi non li scrivo io”.
Come spesso accade, la sua voglia di fare lo scrittore non fu presa benissimo a casa: “Una volta mi spedì all’Enel per lavorare. Arrivai, il capo mi disse che mi sarei dovuto abituare a stare sotto terra perché quello sarebbe stato il mio destino fino ai 60 anni. Me ne andai subito. Quel posto di lavoro durò sedici minuti. Gli dissi: “Papà, io voglio fare lo scrittore”. Gli portai una copia de Il volo della martora, il mio primo libro importante. Lo gettò nel fuoco: “Va’ a lavurar, cretino”, mi disse. Un milione e mezzo di copie, fece quel libro. Ma per lui era niente”. Oggi Corona è uno scrittore prolifico en di successo. Ma come vive la sua quotidianità? “Oggi ho tutto: fama, soldi, quattro figli bravi, un rifugio che mi accoglie. Ma sul mio libretto di lavoro c’è scritto ‘scalpellino’. Io ho lavorato in una cava di marmo, so che cos’è la polvere. Non riesco a essere felice. E nemmeno a godermi quei soldi che guadagno. Perché non so che farmene. Chi viene dalla miseria non ha nemmeno la giusta immaginazione su come spendere il denaro. Vado in giro con una Panda scassata, vedete anche voi come mi vesto e dove vivo. Chi ha conosciuto la miseria fa di tutto per tornarci. Quando cominciammo a guadagnare i primi soldi con i romanzi, mettemmo il telefono in casa. Quello con i fili e con il disco dei numeri. Mia moglie mi disse: ‘Ma non staremo esagerando con il lusso?’”.
Racconta di scalate, arrampicate in montagna e di sentieri (perché “Per me arrampicare è come scrivere”) aperti insieme agli amici Erri De Luca (“ha un rispetto sacro per la montagna”, dice) e Mario Rigoni Stern (“Con noi veniva anche Primo Levi, era un omino sottile con le braghe alla zuava, sembrava una matita vestita”). Pochi mesi fa ha rischiato la vita in montagna: “Non ho messo il chiodo e sono andato giù per cinquanta metri. Meno male che c’era mio figlio Matteo”.
Sul suo rapporto con Bianca Berlinguer rivela “per la prima volta” una cosa dopo essere stato sospeso dal programma per averle dato della “gallina”: “quando mi hanno riammesso, gliel’ho detto di nuovo ma nessuno se n’è accorto, perché in diretta dissi “passata è la tempesta, odo augelli far festa”. Lei lo sa come continua? Fa così: “…e la gallina, tornata in su la via…”. Non continuai con la poesia leopardiana ma nessuno colse la citazione. Questo per dire che mai avrei offeso una donna, io sono un ubriacone attaccabrighe e in tv faccio questo, d’altra parte se mi chiamano un motivo ci sarà. E comunque quella storia è stata tutta una montatura, ma non contro di me, contro la Berlinguer. Una scusa per attaccare lei”.
