Meloni, il telefono non squilla: la guerra civile e l’Occidente che non fa toccare palla all’Italia

Diciamo che non ci hanno fatto toccare palla. Per 48 ore il mondo ha ballato sul ciglio di una guerra civile che avrebbe potuto rimescolare l’ordine mondiale per come l’abbiamo sin qui conosciuto, e i grandi leader delle democrazie occidentali non hanno sentito il bisogno di contattare Roma, l’Italia, paese fondatore della Ue, paese che ha sempre inteso l’appoggio all’Ucraina senza se e senza ma a costo, anche, di qualche punto di consenso in meno. Cioè domenica mattina la Casa Bianca, il presidente Biden, ha contattato il presidente Macron, il tedesco Scholtz, l’inglese Richi Sunak e anche Fumio Kishida, il premier giapponese, in pratica tutto il G7 tranne Italia e Canada. Ma se il ruolo di Montreal può essere assorbito in questa fase dagli Stati Uniti, quello dell’Italia, con posto d’onore al tavolo del G7, doveva essere riconosciuto anche formalmente con una telefonata della Casa Bianca alla premier Meloni. Quella telefonata purtroppo non c’è stata e il colloquio del sottosegretario Usa Blinken con il nostro ministro degli Esteri fa, se possibile, ancora più male alla nostra diplomazia.

L’isolamento dell’Italia nelle 48 ore che hanno fatto ballare il mondo non è la sottolineatura provinciale su importanti dinamiche di politica estera. E’ invece la consapevolezza di un dato di fatto. L’assenza di quella telefonata – che magari arriverà nelle prossime ore ma sarà sempre troppo tardi – porta con sé una serie di considerazioni.

La prima: nei momenti che contano, quando c’è da decidere e condividere decisioni importanti, Roma non è nella lista breve e prioritaria dei contatti. Lo è stata ai tempi del governo Renzi. Lo è stata, certamente, con il governo Draghi. C’è stata una brusca recessione ai tempi del governo giallo-verde (il Conte 1) e adesso c’è stato rimesso addosso lo stigma del “doppio binario”. Mario Draghi ci ha fatto sognare una mattina all’alba quando nel vagone di un treno per Kiev intorno al tavolo sedevano il premier italiano, Macron e Sholtz. Per quanto Giorgia Meloni abbia curato in questi otto mesi la sua immagine di leader affidabile e responsabile, un premier con “una parola sola”, nei momenti che contano non siamo tenuti in considerazione.

La seconda considerazione: nonostante le distanze tra Parigi e Bonn si stiano allargando sulle politiche economiche e sulla flessibilità nei conti, quando il gioco si fa duro l’asse franco-tedesco torna dominante. Ed escludente nei confronti di Roma. La terza considerazione riguarda i rapporti con il Regno Unito. Si ricorderà l’entusiasmo con cui il 27 aprile Giorgia Meloni fece il suo ingresso trionfale al numero 10 di Downing street per incontrare il nuovo Primo ministro inglese, astro nascente dei conservatori inglesi, con cui fu firmato un Memorandum che ha nella lotta all’immigrazione il suo punto forte. Quel bilaterale fu rovinato dal fatto che la maggioranza andò sotto in aula per sei voti sul Def ma il mainstream parlò di “new era” nei rapporti con Londra. Incidentalmente, fu sottolineato come tanto entusiasmo fosse riservato a un paese appena uscito dalla Ue. E comunque, nonostante tutte queste premesse, anche l’amico Sunak tra sabato e domenica si è scordato della cara Giorgia. Per il resto, cosa aspettarsi in fondo da Macron e da Sholtz? Con il presidente francese resta il gelo nonostante gli osanna con cui è stato celebrato il bilaterale a Parigi della scorsa settimana. Il Cancelliere tedesco era e resta “altro” da Meloni, la scintilla non è mai scattata. Anzi.

La quarta amara considerazione è che per quanto Giorgia Meloni abbia tentato – e meritoriamente – in questi mesi di far crescere il proprio standing in politica estera investendo quasi tutte le sue energie sui meeting e i vertici internazionali; per quanto la linea sull’Ucraina non abbia mai vacillato – e anche qui Dio solo sa quanto le sia costato in termini di rapporti con i suoi alleati; ecco, tutto questo ancora non basta a cancellare un passato di nazionalismi, populismi e sovranismi. Resta la diffidenza. Come dimostra, infine ma è il dato più importante, il fatto che non è ancora arrivato l’invito alla Casa Bianca. Washington non libera l’agenda per il governo italiano per cui siamo passati dalla primavera a luglio, e ora direttamente a settembre in concomitanza, pare, con l’Assemblea plenaria delle Nazioni. Ora, il problema è che non solo la Casa Bianca non ci riceve ma neppure condivide con noi le informazioni.

E questo, visto che mettiamo a disposizione armi e sistemi di difesa antimissili – nell’ambito di una partnership proprio con la Francia – è ancora più grave. L’intelligence Usa non ha condiviso con noi le informazioni sui movimenti interni alla Wagner e sulle mosse di Prigozhin. Non sappiamo tuttora nulla di che fine abbia fatto l’ex chef di Putin nonché comandante della brigata di mercenari più potente di sempre. Non sappiamo nulla di cosa sia realmente accaduto tra sabato e domenica, dove siano ora Prigozhin e Putin. Soprattutto non sappiamo chi è Prigozhin. Un eroe del popolo che sognava di prendere il posto di Putin? Un uomo di paglia che Putin ha utilizzato per rimescolare le carte e restare al potere magari liberandosi di qualche scoria di troppo? Un traditore? Si dice che Putin sia più solo e più debole. Ma cosa ci dà questa certezza? Le analisi affollano i programmi tv. Il ministro Tajani ripete che per noi non è importante ora sapere cosa succede all’interno della Federazione russa. Meloni che “ora più che mai dobbiamo restare concentrati sulla resilienza dell’Ucraina”. Ecco no, ora dopo sedici mesi di guerra, di sanzioni economiche, inflazioni, miliardi in sussidi di stato, debito pubblico alle stelle, minacce nucleari, dobbiamo invece sapere tutto quello che c’è da sapere. Meloni in bilico tra tutti i suoi vorrei in questo caso non è la citazione di Negroamaro ma la fotografia di una debolezza. In politica estera. E anche interna visto che il voto sul Mes sarà rinviato. E il Consiglio europeo di giovedì e venerdì porterà ancora una volta poco o nulla sui migranti. L’agenda è cambiata. Il tema è la Russia, Mosca e Putin. Magari a Bruxelles sapremo qualcosa in più.