Natale mai come quest’anno diventa un test di cultura, per cattolici e non cattolici. Cosa sappiamo sulla nascita di Gesù, sulla tradizione costruita in due millenni di cristianesimo e sulla reale storicità dei Vangeli? Mai come quest’anno le polemiche sulla Messa di Mezzanotte sì o no, dimostrano la strumentalizzazione perfino del Natale a scopi politici o di pura propaganda.
Partiamo allora dalla messa di mezzanotte. Il delitto di lesa maestà di non celebrarla a mezzanotte, semplicemente non esiste. La tradizione cattolica parla di una messa da celebrare “nella notte”, non fissa di sicuro l’orario. La notte tra l’altro è a sua volta un simbolo, per fare capire ad un’umanità sempre incredula che con la sua nascita Gesù ha portato la luce nel mondo. In proposito un passaggio del Vangelo di Giovanni (1,5) è molto esplicito: «La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta». La tradizione fissa semmai la celebrazione di quattro messe cui i fedeli possono scegliere di partecipare: la vespertina della vigilia, quella ad noctem (cioè la messa della notte), la messa in aurora e la messa in die (nel giorno). Il tempo liturgico del Natale inizia con i primi vespri del 24 dicembre, per terminare con la domenica del Battesimo di Gesù.
Fissato il primo aspetto, il secondo riguarda la data della nascita: naturalmente il 25 dicembre è un giorno del tutto simbolica. La festa del Natale al 25 dicembre richiama le celebrazioni per il solstizio d’inverno e le feste dei saturnali romani. Si ricorda la nascita del nuovo sole che, dopo la notte più lunga dell’anno, annunciava la ripresa del ciclo della vita. Di nuovo abbiamo a che fare con la simbologia della luce, con l’uscita dalla notte dell’inverno, con i riti di una tradizione legata ai ritmi della natura.
Terzo punto: davvero possiamo fissare la città di Betlemme come luogo della nascita di Gesù? E da Betlemme possiamo risalire all’anno esatto? Le ricerche cronologiche, come si può immaginare, presentano molte difficoltà. Da molto tempo i biblisti più avvertiti hanno dimostrato che Betlemme è un luogo simbolico, tutt’altro che sicuro. I Vangeli di Matteo e Luca parlano di Betlemme, anche se non forniscono indicazioni cronologiche precise. In questo senso l’affermazione della nascita a Betlemme non coincide con il dato storico ma con un simbolo teologico per rendere vera la profezia contenuta in un passaggio del profeta Isaia. Quindi Betlemme è un luogo necessario rispetto all’esigenza della comunità dei primi cristiani di accordare la figura di Gesù con le profezie che attendevano un Messia nato a Betlemme e discendente da Davide, anche in polemica con il mondo ebraico che non lo ha riconosciuto come Messia. Non dobbiamo infatti mai dimenticare che Gesù era ebreo e dunque la prima comunità di discepoli attorno a lui era impregnata dei simboli e della mentalità della religione ebraica. Presentare Gesù come il Messia profetizzato dall’Antico Testamento voleva dire presentare la sua vita ed opera in coerenza con il dettato delle scritture.
A voler essere pignoli, poi, l’identificazione dei luoghi è problematica: la tradizione indica delle località sulle quali sono stati costruiti dei luoghi di culto come la Basilica dell’Annunciazione a Nazaret e la Basilica della Natività a Betlemme. Tuttavia i dati archeologici non sono incontrovertibili. Basti pensare che la prova provata archeologica dell’esistenza di Ponzio Pilato risale al 1961 quando venne scoperto a Cesarea un frammento di lapide che ne riporta il nome ed il titolo di prefetto di Galilea. Le altre testimonianze storiche sono di Giuseppe Flavio, Tacito, Filone Alessandrino. Si tratta di tre passaggi molto rapidi centrati sulle accuse ai cristiani da parte dei romani che non accettavano la nuova religione. La lapide ha fatto dissipare ogni nebbia di incertezza.
Così è ovviamente assai problematica anche la data. Gesù infatti secondo gli storici sarebbe nato forse qualche anno prima del nostro attuale “anno zero”. Il Vangelo di Matteo (2,1) riferisce che Gesù nacque «nei giorni del re Erode», che regnò presumibilmente tra il 37 a.C. e il 4 a.C. Non si può tuttavia escludere che nel 4 a.C. egli abbia semplicemente associato al regno i suoi figli. Matteo 2,16 riporta l’intenzione di Erode di uccidere i bambini di Betlemme sotto i due anni (strage degli innocenti). Assumendo la storicità del racconto, questo suggerisce che Gesù fosse nato uno o due anni prima dell’incontro di Erode coi magi, e Clemente Alessandrino (150-215 d.C.) annotava: «Non si contentano di sapere in che anno è nato il Signore, ma con curiosità troppo spinta vanno a cercarne anche il giorno» (Stromata, I,21,146).
E veniamo alla tradizione del presepe. Il primo ad “inventarlo” fu san Francesco d’Assisi che nel 1223 realizzò a Greccio la prima rappresentazione della Natività. Francesco era reduce dal viaggio in Terra Santa e voleva rievocare la scena della Natività, scegliendo Greccio per la somiglianza con i luoghi palestinesi appena visitati. Tommaso da Celano, cronista della vita di San Francesco, descrive la scena nella Legenda secunda: «Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme». Il racconto di Tommaso è poi ripreso da Bonaventura da Bagnoregio: «I frati si radunano, la popolazione accorre; il bosco risuona di voci, e quella venerabile notte diventa splendente di luci, solenne e sonora di laudi armoniose. L’uomo di Dio [Francesco] stava davanti alla mangiatoia, pieno di pietà, bagnato di lacrime, traboccante di gioia, Il rito solenne della messa viene celebrato sopra alla mangiatoia e Francesco canta il Santo Vangelo. Poi predica al popolo che lo circonda e parla della nascita del re povero che egli […] chiama “il bimbo di Betlemme”».
Le nozioni fin qui ricordate non hanno l’obiettivo di relativizzare l’importanza della nascita di Gesù o la festa del Natale. Servono invece a ricordare alcuni elementi essenziali dei racconti evangelici. Non sono stati scritti con l’occhio o l’intento dello storico. I quattro evangelisti (ed anche qui i biblisti hanno molto da dire a proposito del fatto che non si tratterebbe di quattro persone vere e proprie…) non pensavano ai posteri e neppure immaginavano l’esistenza di una Chiesa cattolica diffusa in tutto il mondo. Tanto meno potevano avere in mente l’archeologia, la filologia, la stratificazione di governi, religioni e le distruzioni di duemila anni di storia del Medio Oriente che hanno sconvolto territori e paesaggi. Parlavano alle comunità cristiane dell’epoca, raccontando i fatti a modo loro e secondo una lettura teologica degli eventi. Gesù è figlio di Dio, dunque nasce a Betlemme; è figlio di Dio, dunque vive e lavora a Nazaret nel compimento delle profezie bibliche. I testimoni dei Vangeli sono gli stessi apostoli ed il piccolo evento di storia locale si fa largo molto a fatica nei libri degli annalisti di epoca romana.
In fondo è un piccolo avvenimento, relativo ad una porzione assai poco significativa del vastissimo Impero costruito da Roma.
Ritornare alle poche certezze e alle tante incertezze serve a ricordare l’essenza della festa di Natale: un segno di speranza per gli uomini e le donne di ogni epoca e di ogni tempo. Infatti a ben pensarci il Natale si festeggia da duemila anni e da settecento sotto forma di un presepe. Una prova ulteriore si ha guardando alle tradizioni delle altre confessioni cristiane. In Oriente la nascita di Cristo veniva festeggiata il 6 gennaio, col nome di Epifania, che vuol dire “manifestazione”; poi anche la Chiesa orientale accolse la data del 25 dicembre, come si riscontra in Antiochia verso il 376 e nel 380 a Costantinopoli.
La prospettiva di una storia delle tradizioni ci deve aiutare a comprendere il nucleo autentico della festa, al di là delle forme stratificatesi durante i secoli e che rischiano sempre di prendere il sopravvento. Come ha ben notato Famiglia Cristiana nella rubrica di lettere “colloqui con il padre”, «non si deve dimenticare che la celebrazione più importante dell’anno è la Veglia pasquale, purtroppo molto meno frequentata». E così si capisce fino in fondo l’inutilità delle polemiche a sfondo politico delle ultime settimane.
