Migranti, è Meloni show. Ma i risultati sono tutt’altro che “senza precedenti”

Ormai è a tutti gli effetti una “conversione”, quasi religiosa. In pochi mesi Giorgia Meloni è passata dal grido di battaglia “serve il muro navale, unica barriera all’immigrazione selvaggia” a “ci servono i migranti, mano d’opera purché regolare”, altro che “sostituzione etnica”. Dalla circolare sui “porti chiusi” e sui divieti alle Ong, brutta copia riveduta e addolcita di quella di Salvini, a “l’Italia ponte d’Europa con l’Africa”.

Dal “no pasaran” ai compromessi con gli Stati di origine e transito: tu mi governi i flussi dal sub Sahara e io ti pago, ti do grano, turismo, accordi commerciali e soldi, tanti. Una “conversione” raccontata con una narrazione che sa di sacrale, eroico, eccezionale, roba che dovrebbe essere già nei libri di Storia.

Lo dice la stessa premier: “Il grande vertice di Roma su migrazioni e sviluppo dà l’avvio al Piano Mattei”, questo governo sta ottenendo “risultati senza precedenti”, l’Italia “finalmente torna centrale in Europa e in Occidente perché ha deciso di promuovere con l’Africa accordi tra pari, non predatori ma cooperativo”.

Ora il problema è che tutto questo non è quello che sembra e che la “conversione” risponde ad esigenze interne ed internazionali. Intendiamoci, il pragmatismo e cambiare idea migliorandola è sempre un ottimo indizio. Basterebbe riconoscerlo senza ammantarlo di altro che non esiste.

Sono almeno tre le esigenze che hanno provocato la “conversione”, sostanziale e lessicale della premier: la constatazione oggettiva che il fenomeno migratorio è strutturale, ha picchi più o meno alti, non può essere fermato ma, se si è molto bravi, sicuramente può essere gestito; il contesto sociopolitico e geoeconomico; il bisogno di far ingoiare il boccone agli alleati leghisti da mesi sul piede di guerra per i continui sbarchi e arrivi e spiegare loro che esistono un piano e una strategia vera. Nessuna resa, caro Salvini. Anzi, il governo va all’attacco, nel nord Africa, nei paesi del Golfo e anche a Washington, giovedì, quando il presidente Biden chiederà conto alla premier italiana dello stato dei rapporti con l’Africa.

Il punto è che più la narrazione di palazzo Chigi si ostina a decantare le gesta della leader internazionale, più i fatti richiamano alla dura realtà. I numeri sono impietosi: a ieri pomeriggio sono 86.132 le persone sbarcate via mare dal primo gennaio; un anno fa di questi tempi erano 36.600. Il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa fa notare che “nella settimana successiva al Memorandum Europa-Tunisia (Tunisi, 16 luglio, 900 milioni di fondi Ue) che dovrebbe, tra le altre cose, fermare e ridurre le partenze, sono sbarcati in Italia 7.359 persone “solo dalla Tunisia”, record assoluto che ha sbriciolato quella della settimana precedente il Memorandum: 6.431. Ora, nessuno pensa che il Memorandum Ue-Tunisia o il vertice su Migrazione e Sviluppo possano produrre sviluppi ed effetti a stretto giro. Ma tra le parole e i numeri e gli umori della cronaca c’è un abisso.

Anche la promessa di ieri pomeriggio davanti ai circa duecento delegati Fao – “obiettivo nel 2030 è zero fame nel mondo” – sembra un po’ velleitario. Così come lo è stato spacciare come “Prima conferenza su Migrazioni e sviluppo” l’invito alla Farnesina di 19 delegazioni che comunque da stamni sarebbero state impegnate nel vertice contro la fame nel mondo in corso alla Fao fino a mercoledì.

La verità è assai più pragmatica. Assai meno epica. E neppure inedita. Giorgia Meloni ha due esigenze. Sul fronte interno deve tenere buona la Lega. Da giorni si rincorrono notizie di sindaci del nord Italia, per lo più leghisti, per lo più in Veneto, che letteralmente riconsegnano alle prefetture i nuovi migranti arrivati in città. Non li vogliono, non sanno dove metterli, dicono che “non esiste un piano di accoglienza” e denunciano “situazioni estreme che avranno forti ricadute sul tessuto sociale”. I prefetti non hanno più alloggi dove sistemarli. Il caos, di cui nessuno parla e che il governo tiene nascosto. Fino a quando? L’unica adesso è coprire tutto con la narrazione del governo che impone il Piano Mattei per l’Africa, “la vera e tanto attesa svolta”. Ieri i bilaterali con Etiopia, Gibuti, Somalia, Kenya.

Giorgia Meloni ha anche bisogno di avere uno standing internazionale che le permetta di guardare avanti, alle elezioni europee, ad esempio, specie dopo la batosta spagnola. Ha bisogno, quindi, di arrivare giovedì a Washington con tanti dossier avviati e incardinati. L’Africa, nel nuovo mondo in cui Russia e Cina avranno sempre minore agibilità, assume un ruolo centrale per l’Europa e l’Occidente in quanto forziere di materie prime ma anche continente che ha bisogno di tutto, cibo, investimenti e know-how. L’Europa e l’Occidente devono cercare di contenere – ed è sempre troppo tardi – l’avanzata di Cina e Russia nei paesi africani. E hanno bisogno che Egitto, Tunisia, Marocco e anche la Libia (ieri l’annuncio del volo Ita diretto Roma-Tripoli) siano paesi stabili con economie affidabili. Tutto questo di per sé rallenterà le migrazioni e le stragi, in mare e nel deserto.
È un quadro completamente nuovo. Con cui Giorgia Meloni, con saggezza e abilità, sta prendendo le misure. Basta avere un po’ di misura. E non definirli “risultati senza precedenti”.