Tutte le montagne del mondo hanno un posto speciale: un bosco di querce. Quando si mette in discussione l’onore di un uomo, si fa un resoconto della sua storia, i vecchi si cingono a una quercia. L’uomo, del cui onore si tratta, viene fatto sedere fra i rami dell’albero: si comincia a battere la quercia con un’ascia -al primo colpo l’albero si anima- degli strani esseri, tutti uguali fra loro, saltano fuori dal tronco e corrono in alto.
Più si taglia e più gli esseri scappano dall’albero, per andarsi a rifugiare nelle querce vicine. Tentano di portarsi via l’uomo in giudizio. Quando l’albero cade al suolo si va a controllare. Se l’uomo è rimasto sull’albero, il suo onore è salvo, anche se è morto nella caduta. Se lo si vede scendere da una quercia vicina, sarà escluso dalla categoria degli uomini. Driadi si chiamano quelli che abbandonano l’albero, e Amadriadi quelli che precipitano a terra insieme alla quercia. È un accadimento magico, in un’atmosfera da ultima ora sommersa da un incrocio di musiche che si assestano fino a formare una sola composizione.
Ogni uomo ha nella propria vita una colonna sonora. Gli uomini speciali sono Amadriadi e lo spartito della propria vita lo scrivono da sé: la musica. A volte, le parole le prendono dal migliore dei poeti. Mikis era il migliore dei musicisti e il poeta che scelse era Alekos Panagoulis. Theodorakis era lui stesso un albero, sopra la quercia del giudizio ci è rimasto per 96 anni, senza tentennare mai; fra i rami ha inventato le proprie note, indifferente alla violenza dei colpi di un potere arrogante che contro di lui aveva impugnato un’ascia gigantesca. Ha danzato fra foglie nascenti nelle primavere odorose di polvere da sparo, ed è stato a petto nudo, negli inverni infiniti in cui tutte le foglie erano soldati stesi a terra già dall’autunno. Ballava il Sirtaki meglio di Anthony Quinn, recitando L’Anelito: «È un fiume amaro dentro me, il sangue della mia ferita, ma ancor di più, è amaro il bacio che sulla bocca tua mi ferisce ancor».
Intorno le Driadi andavano giù, era amaro il tradimento dei greci, l’abbraccio ai Colonnelli. Nikiforos Mandilaràs moriva a ogni nota per risorgere in quella successiva, risputando le pallottole dal petto, e Alekos anche da morto scriveva poesie immortali, senza tregua. Mikis musicava amarezza, tradimento, dolore. Incalzava l’orrore e alzava il pugno all’ennesima battaglia persa. L’ultimo comunista. L’ultima Amadriade che non è scesa dall’albero che si è scelto, perché nella lotta, in quella più dura, non è prevista la resa. Vive ancora, vivrà per sempre Mikis, tutte le volte che per le strade leggendarie del Peloponneso, qualcuno, dentro un negozio, alzerà il volume della radio per far sentire a tutti O Kaimos.
