Nemmeno una settimana è bastata per capire che il “Patto per Milano” lanciato da Letizia Moratti rischia di diventare l’ennesima occasione persa per una città che ha un disperato bisogno di sbloccarsi. La proposta dell’europarlamentare di Forza Italia, presentata con il coordinatore cittadino Cristina Rossello e quello regionale Alessandro Sorte, aveva il merito di provare a rompere gli schemi: scavalcare le barricate ideologiche, mettere al tavolo maggioranza e opposizione sui grandi dossier bloccati, dal Salva Milano allo stadio di San Siro. Un tentativo di pragmatismo in una Milano paralizzata da 180 cantieri fermi, migliaia di famiglie nell’incertezza abitativa e investimenti congelati tra i 12 e i 38 miliardi. Eppure, la risposta all’appello rivolto esplicitamente all’area riformista del centrosinistra è stato il silenzio. O quasi.

Le reazioni che non ci sono state

L’unica voce dal Pd che si è levata con una certa articolazione è stata quella di Pietro Bussolati, che ha posto condizioni precise per non considerare la proposta “un pretestuoso tentativo di dividere il centrosinistra”. Il consigliere regionale dem ha ribaltato la questione: “Se la finalità di Letizia Moratti non è quella di aumentare il caos intorno al dossier stadio ma sedersi a un tavolo, finalmente abbandonando un’opposizione cieca a Milano e così staccandosi dal comportamento di Lega e Fratelli d’Italia, ha senso cogliere questa proposta”. Ma ha chiesto che sia “impegnativa per Regione Lombardia e le sue politiche con un deciso cambio di rotta verso le grandi città lombarde”. Una risposta che none ripinge, ma non accoglie e rilancia la palla nel giardino dell’avversario. E che soprattutto è rimasta isolata nell’area riformista del partito. Quelle voci che, secondo indiscrezioni, sarebbero state propense a un confronto pubblico sulla proposta – un modo per dare massima trasparenza e spazzare via i sospetti di manovre tattiche – non hanno trovato evidentemente condivisione nel partito. A parlare, invece, è stato Pierfrancesco Majorino, capogruppo Pd in Regione e leader dell’ala sinistra del partito, con parole che non lasciano spazio a fraintendimenti: “Ci manca sta mela avvelenata. Un bel pattone del mattone”. Per Majorino, la proposta è solo una manovra per “replicare scelte sbagliate e nuovo cemento per ricchi”. Un no secco che rivela come nel Pd prevalga la lettura di chi vede nell’iniziativa di Forza Italia solo un tentativo di mettere in difficoltà il partito democratico.

L’isolamento anche a destra

Ma se il centrosinistra ha risposto con diffidenza o silenzio, nel centrodestra l’accoglienza non è stata migliore. Gli alleati di Forza Italia – Lega e Fratelli d’Italia – hanno mantenuto un silenzio glaciale che tradisce il fastidio per un’iniziativa non condivisa preventivamente all’interno della coalizione. Alessandro Sorte aveva sottolineato che si trattava di “non consegnare la città ai ‘talebani verdì o ‘radicali’”, ma evidentemente il messaggio semplificato non è bastato a far digerire l’iniziativa. Del resto gli scatti in avanti di Forza Italia si stanno susseguendo da mesi. L’unico commento è arrivato da Mariangela Padalino, capogruppo di Noi Moderati in Consiglio comunale, che già mesi fa per prima aveva lanciato l’idea di un patto trasversale. La Padalino ha accolto l’iniziativa con prudenza: “Serve un piano che vada oltre i grandi cantieri e i ‘lustrini’, affrontando manutenzione ordinaria, decoro urbano, viabilità, accessibilità alla casa”. Ma ha anche avvertito: “Altrimenti, il ‘Patto’ rischia di essere solo una manovra politica per ricompattare consensi o segnare posizioni nel centrodestra, forse anche con aperture verso sinistra”. Un commento che da un lato unisce negli intenti i due partiti moderati del centrodestra, dall’altro non nasconde una convivenza non del tutto serana nell’area centrista della coalizione.

L’ apertura riformista

L’unica reazione positiva dall’area riformista è venuta da Giulia Pastorella, vicepresidente di Azione e deputata: “Questo è il momento della responsabilità per tutte le forze politiche. Abbiamo accolto positivamente l’apertura di esponenti di Forza Italia e sosteniamo la necessità che in Consiglio tutti i Partiti collaborino responsabilmente”. Anche Francesco Ascioti, segretario di Azione Milano, ha definito “molto positiva” la definizione di una calendarizzazione per lo stadio, sottolineando che “Milano deve dotarsi di un impianto sportivo per il calcio che sia all’avanguardia”. Ma Azione è il partito al quale Forza Italia da tempo si rivolge con proposte di dialogo specifico e addirittura con l’offerta di entrare in futuro centrodestra milanese più “liberal”. Non è esattamente l’interlocutore “trasversale” che la proposta della Moratti sembrava cercare.

L’occasione persa e la lezione da trarre

Il risultato è che un’iniziativa che, se gestita davvero in modo riformista, poteva essere l’occasione per liberare l’amministrazione milanese dai vincoli ideologici che la rallentano e trovare un’unità politica capace di rendere la linea di governo più solida – anche di fronte alle inchieste sulla rigenerazione urbana che l’hanno fatta vacillare – si è arenata nel giro di pochi giorni.
Gli interlocutori chiamati da Forza Italia hanno guardato il dito e non la luna. Hanno visto tattiche e manovre dove ci poteva comunque essere l’opportunità di sbloccare una situazione che danneggia tutti. Cristina Rossello aveva sottolineato che, seppur nell’alveo di Forza Italia, l’iniziativa era maturata dal territorio, non confezionata dai vertici: “Abbiamo coinvolto l’Assemblea cittadina e i consiglieri municipali in una serie di studi e approfondimenti, senza anticipare giudizi ma preparandoci con senso di responsabilità”. E Sorte aveva rilanciato chiedendo “uno sforzo all’area riformista del Pd che deve alzare la testa”.
Ma forse il problema è proprio negli interlocutori scelti. Se Forza Italia vuole davvero farsi motore di una formula politica riformista e liberale per Milano, a quanto pare deve guardare altrove. C’è un 10-15% di elettorato che ha dimostrato di trovarsi a disagio tanto rispetto alla sinistra quanto rispetto alle componenti più di destra del centrodestra. Un elettorato che ha mostrato il suo potenziale proprio alle passate elezioni europee, quando la stessa Moratti si presentò autonomamente, in alternativa a entrambi gli schieramenti tradizionali.

Il vero laboratorio possibile

La verità è che Milano avrebbe bisogno di un vero “governo di responsabilità”, come quello evocato dalla Padalino, “capace di mettere da parte le fazioni politiche e di lavorare concretamente per il bene di tutti i cittadini”. Ma questo governo non può nascere in un clima di sospetti di manovre di sottobanco o da convergenze tattiche su singoli provvedimenti. Deve nascere da una visione condivisa della città e del suo futuro. Il “Patto per Milano” della Moratti aveva posto domande giuste: come sbloccare i cantieri fermi? Come dare certezze alle famiglie in attesa di casa? Come rilanciare gli investimenti? Come realizzare finalmente lo stadio di San Siro dopo sette anni di melina? Ma le risposte non possono venire da chi è prigioniero delle proprie appartenenze di schieramento. Forse è tempo che Forza Italia, se davvero crede in questa visione riformista e pragmatica, cominci a costruire qualcosa di nuovo. Non un patto con chi non vuole patti, ma un progetto politico che parli direttamente a quell’elettorato moderato e riformista che oggi non si sente rappresentato né dal “pattone del mattone” evocato da Majorino né dall’opposizione “cieca” denunciata da Bussolati. Milano ha bisogno di uscire dalle secche in cui si trova. Ma per farlo serve il coraggio di rompere davvero gli schemi, non solo di proporlo. La Moratti ha lanciato il sasso. Ora tocca capire se vuole raccoglierlo per costruire qualcosa di nuovo o lasciarlo cadere nel vuoto delle occasioni mancate. Perché una cosa è certa: continuare a bussare alle porte di chi non vuole aprire non porterà da nessuna parte. E Milano non può permettersi di aspettare ancora.