Abbiamo raggiunto al telefono Luigi Marattin, Segretario Nazionale del Partito Liberaldemocratico, per parlare di Milano e della sua visione della città.
Onorevole Marattin, il convegno “Milano al Centro, un Centro per Milano” ha riunito esperti di urbanistica, operatori del settore e rappresentanti politici di diversi schieramenti, dal Pd a Forza Italia. È coltivabile l’dea di una sintesi comune?
«Necessaria, per non lasciare al giustizialismo e al populismo il destino di una città che, mentre l’Italia perdeva più di mezzo milione di giovani dal 2011 al 2023, aumentava il numero di residenti e offriva opportunità ai giovani».
Dal 2006 – anno simbolico che segna la svolta di Porta Nuova e CityLife – Milano ha attraversato una trasformazione senza precedenti che l’ha proiettata nel novero delle grandi capitali europee. Oggi però la città è paralizzata. Un cortocircuito che suggerisce un ripensamento del modello?
«Nessuno nega che occorra evitare che Milano segua il modello New York (o di altre grandi capitali europee), che stanno diventando luoghi dove persino il ceto medio fa fatica a vivere. Ma la domanda è: questo riequilibrio sociale – a favore di giovani coppie, studenti e ceto medio – ha più probabilità di realizzarsi se la città riprende a crescere o se si blocca nel giustizialismo e nell’ideologia? Noi siamo convinti della prima opzione. La crescita è sempre la condizione necessaria, ma non sufficiente, per l’equità».
Il Ddl Salva Milano, approvato alla Camera, si è poi arenato al Senato dopo il dietrofront dei democratici. Lei ha sempre sostenuto la necessità di un provvedimento d’urgenza per sbloccare i cantieri. Qualcosa che interpreti le normative o una misura contingente?
«Ci sono 150 cantieri bloccati, 4500 famiglie che hanno investito i loro risparmi in un immobile, e 12 miliardi di investimenti bloccati. La proposta del Partito Liberaldemocratico è un procedimento di regolarizzazione urbanistica preventiva (non edilizia) che il comune può approvare per assorbire tutte le trasformazioni ammissibili secondo le leggi regionali, riportare sotto controllo pianificatorio quelle aree dove la SCIA era intervenuta senza un quadro attuativo, richiedere agli operatori eventuali adeguamenti e compensazioni e stabilire gli standard necessari in relazione ai nuovi carichi urbanistici. Insomma, un modo che rispetti le leggi, eviti sanatorie, e dia certezze a imprenditori e famiglie».
La vicenda milanese ha messo in luce un problema strutturale: la legge urbanistica del 1942 – pensata per un’Italia completamente diversa – si scontra con le esigenze della rigenerazione urbana contemporanea. Il Testo Unico Edilizia del 2001, le modifiche del Decreto Semplificazioni del 2020, la normativa regionale lombarda: è un labirinto normativo. È tempo di una riforma organica?
«Tutte le volte che le competenze sono ripartite tra diversi livelli di governo fisiologicamente si crea confusione. Tuttavia urbanistica e edilizia non sono certo materie da accentrare allo Stato, ci mancherebbe. Basterebbe però rivedere la legge del 1942 (che in Italia ci sia una cosa governata da una legge del 1942 già dovrebbe far riflettere) e definire meglio competenze e interpretazioni tra i diversi livelli di governo. Senza certezza del diritto non si va da nessuna parte».
Al convegno avete messo sul tavolo un punto preciso: la cooperazione tra istituzioni pubbliche e investitori privati non va criminalizzata. C’è chi invece vede in questo modello la radice della “speculazione edilizia”. Come rispondete?
«Si tratta di un retaggio della cultura comunista. Tutte le città del mondo si sviluppano con una cooperazione tra pubblico e privato, nell’ambito di regole chiare. Quello su cui noi insistiamo particolarmente è che anche su questo fronte venga garantita la concorrenza e la molteplicità degli operatori, evitando oligopoli e pratiche anti-concorrenziali».
Torniamo alla visione di Milano. Nei documenti programmatici del vostro convegno emerge con forza un tema: i grandi problemi di Milano – costo della vita, emergenza abitativa, trasporti, sicurezza, riqualificazione delle periferie –richiedono una governance metropolitana. È lì il punto debole della visione d’insieme?
«Tutti i problemi di Milano si possono risolvere solo nell’ambito di una dimensione di scala più elevata, che è quella della città metropolitana. Ancor di più visto che non vi è soluzione di continuità urbana tra il comune di Milano e l’hinterland. Trasporti, riqualificazione urbana, politiche abitative, aumento dell’offerta: tutte cose che si possono fare solo sulla dimensione metropolitana».
Lei propone l’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano da parte di tutti i cittadini dell’area vasta. È una riforma che richiederebbe un intervento legislativo nazionale. Ritiene che ci siano le condizioni politiche per realizzarla?
«Occorre che la politica nazionale smetta di usare il tema della “sistemazione istituzionale” come uno slogan tra curve ultrà (vedi autonomia differenziata, premierato ecc) e inizi a ragionare seriamente su come adeguare l’architettura istituzionale di questa Repubblica al nuovo secolo. Dalla riforma delle città metropolitane a quella delle regioni, passando per la legge elettorale, la riforma dei regolamenti parlamentari, il monocameralismo e la riforma del titolo V».
Avete definito la mancanza di visione metropolitana come “il limite principale della giunta Sala”. Una critica tecnica o c’è dietro una distanza politica più ampia?
«Il giudizio sui dieci anni di Sala non compete a me, semmai si esprimerà in tal senso il Pld locale. Lui è in scadenza di secondo mandato, quindi il vero tema è capire come costruire i prossimi dieci anni di Milano».
Il Partito Liberaldemocratico è nato pochi mesi fa. Che ruolo intendete ritagliarvi nella vita politica milanese, una città la cui offerta politica sembra essersi adattata al bipolarismo?
«Abbiamo un gruppo in forte crescita, guidato dalla segretaria provinciale Adriana Pepe, e con tanti giovani in gamba. Sono convinto che anche a Milano siano in tanti coloro che non trovano rappresentanza adeguata in questo centrodestra e in questo centrosinistra».
In un’intervista recente ha affermato che, in caso di sfida tra Ferruccio Resta e Pierfrancesco Majorino per la poltrona di sindaco, non avreste dubbi su chi appoggiare. Anche se resta – o una figura simile al suo posto – fosse sostenuto dalla FDi e Lega?
«Se fossi residente a Milano, e la scelta fosse quella, non avrei dubbi. E lo confermo, indipendentemente da quali partiti condividano o meno questa posizione. Non per disistima verso Majorino, ma perché non credo nel modello Mamdani, che in qualche modo sembra ispirare gran parte della sinistra milanese. Ma è un’opinione personale: la scelta sarà fatta dal Pld milanese al momento opportuno».
Azione, il partito con il quale avete scelto di condividere il percorso politico, è da tempo corteggiato da Forza Italia, addirittura con l’offerta di un futuro ruolo di vicesindaco. Fareste parte della partita?
«Beh Azione a Milano ha una certa forza, noi – benché con un ottimo slancio – in città siamo appena nati. A livello nazionale il percorso tra Pld e Azione è nelle cose, perché entrambi siamo convinti terzopolisti e nessuno vuole ripetere le tossiche dinamiche competitive che hanno in passato contraddistinto esperienze simili. A livello locale le cose sono sempre meno facili, perché il sistema elettorale rende molto difficili avventure “terze” rispetto a centrodestra e centrosinistra. E questo, quindi, crea diverse complessità in più. Ma ciononostante credo che anche a Milano, come nel resto d’Italia, credo nella possibilità di forti sinergie tra noi e Azione. Quantomeno, noi siamo pronti».
Nei vostri documenti proponete “un sindaco civico espressione delle migliori capacità della città, indipendentemente dalle coalizioni”. Qualcuno potrebbe dire che sa un po’ di libro dei sogni.
«Se non credessimo nei sogni – e soprattutto nella necessità di non accontentarsi dello status-quo e realizzare ciò che sembra impossibile – non avremmo in pochi mesi tirato su dal niente un partito che ad oggi è la novità più significativa e promettente della politica italiana».
