L’attuale direttore artistico di Radio Deejay e del polo radiofonico del gruppo editoriale Gedi, una delle voci simbolo dell’on air italiano, è un conduttore radiofonico e disc jockey italiano attivo fin dagli anni settanta. Nel corso della sua carriera ha condotto anche alcuni programmi televisivi, per Italia 1 e Rai 2, ha curato alcuni progetti discografici e pubblicato cinque libri. Intervistato dal Corriere della Sera denuncia la trasformazione della ‘sua’ Milano avvenuta dopo l’Expo che l’ha avviata verso una “globalizzazione urbana piace molto ai turisti, meno ai milanesi”.
Nato a Foligno (Perugia) il 30 ottobre del 1957 da genitori originari di Canosa di Puglia, si trasferisce con tutta la famiglia all’inizio degli anni ’60 a Paderno Dugnano, comune di Milano, per poi continuare a gravitare attorno al capoluogo meneghino sin prima dell’inizio del suo lavoro come disk jockey nel 1976. “Ho questi ricordi di una città piena di gente, con l’impressionante mole della Stazione Centrale che mi faceva sentire piccolo piccolo”, altri tempi.
Il confronto parte proprio da quegli anni, dalle sue prime esperienze con la Milano degli anni ’70 che era “vivacissima e l’occasione di fare il deejay era troppo allettante per farsela scappare, la musica era una passione centrale e si suonava ovunque”. Poi punto di svolta sono stati gli “investimenti massicci dal 2010” culminati con l’Expo del 2015: “È successo che Milano, città con un suo ben preciso equilibro e città-locomotiva italiana, ha beneficiato e subito allo stesso tempo il forte impatto dovuto all’Expo e poi una decisa spinta verso la ‘globalizzazione urbana’ con zone che sono diventate uguali a quelle aree esclusive che esistono in tutto il mondo”.
Qualcosa si è perso e a pagare i prezzo più caro è stata la borghesia: “Siamo diventati all’improvviso più internazionali ma cedendo una parte dell’identità meneghina allo stereotipo di global city che piace così tanto ai turisti ma meno ai milanesi. La classe media è la fascia che è stata molto svantaggiata da questi cambiamenti e rischia di essere espulsa dalla città, cosa che già accade. La ricchezza che è stata prodotta dagli investimenti massicci dal 2010 in poi è andata a beneficio di poche persone. È venuta meno quella che si chiamava ‘borghesia illuminata’, la grande borghesia che guadagnava dalle proprie attività ma che al tempo stesso aveva un senso di restituzione nei confronti di chi viveva situazioni di disagio”.
Sembra strano ma anche per la città italiana che è più proiettata verso il futuro Linus non lesina critiche (non per Sala): “La transizione green è un po’ rallentata, anche la metro 4 va a rilento. L’unica soluzione per decongestionare il traffico è puntare decisamente sui mezzi pubblici. Le ciclabili tracciate a terra servono a poco”. Il sindaco ha compiuto la vera rivoluzione che ci ha portato alla Milano di oggi, e sto parlando degli aspetti positivi”.
Non può mancare il confronto con le periferie di oggi: “Sono nato e cresciuto a Paderno Dugnano e il treno per ‘fare avanti e indietro con il centro’ ha fatto parte della mia giovinezza. Tanta nebbia e moltissima umanità. Mi sembra che il pendolarismo non sia cambiato molto. Qualcosa di positivo è successo in termini di maggior integrazione, almeno in certe zone, ma i cambiamenti sono talmente veloci che oggi la politica deve dare risposte quasi istantanee”. E il rapporto “ambivalente” dei giovani con Milano: “Penso ai nostri ascoltatori under 30. Da una parte giudicano Milano la metropoli più vivace in Italia, dall’altra sono come degli ‘innamorati respinti’ perché non riescono a viverci: tutto è carissimo, dal cibo alle case”.
