Milano, quella strana serie di delitti immersa nei veleni: il giallo abilissimo firmato Tiziana Maiolo

Ci sono romanzi gialli che si leggono tutti d’un fiato. E ce ne sono altri che vanno gustati più lentamente per prolungare l’attesa di sapere “come va a finire”. Il romanzo di Tiziana Maiolo,Toghe al veleno” (Milieu edizioni), appartiene a questa seconda categoria perché è un libro che va gustato soprattutto per la limpidezza della scrittura e la forza dei personaggi principali. Personaggi che già erano nei precedenti libri della scrittrice, che è anche una giornalista di razza (e si sente: «Tutte queste opinioni degli onesti circolavano e venivano raccolte da cronisti avidi di retroscena, che per forza di cose dovevano essere “torbidi” e adatti a aprire interrogativi che venivano definiti “inquietanti”»). E dunque ritroviamo l’abilissima cronista del “Giorno” Rosa Rossi, la dolce pm Rosella Traverso, l’avvocata Marta Canè – egemonia femminile – immerse in una storia, appunto, quanto mai torbida, complicata.

L’intrigo è misterioso fin dalle primissime pagine. Dopo una importante riunione a Milano di molti procuratori della Repubblica impegnati sul fronte della lotta alla mafia, uno di loro, uno dei più brillanti, muore improvvisamente: veleno nel suo thermos. Poi un altro magistrato viene ucciso con lo stesso veleno, non solo, con quel sistema sono stati colpiti anche un medico e una donna, tutte vicende senza alcun legame tra di loro. Un pazzo? La mafia? «Il corridoio del quarto piano è affollato di cronisti, fotografi e telecamere. Cominciano ad arrivare giornalisti stranieri, si è ormai sparsa la voce che a distanza di sette anni dagli omicidi di Falcone e Borsellino, un altro magistrato, che aveva lavorato fino al mese precedente in Sicilia, è stato assassinato da Cosa Nostra. Qualcuno comincia a fare notare la svolta della mafia, che pare essere passata prima dalla lupara al tritolo, e ora addirittura al veleno».

È una pista intuitiva, la mafia. Ma sarebbe troppo semplice. L’intrigo è molto più sottile e fino alla fine, come ogni buon giallo, il lettore non possiede la chiave della soluzione e possiamo dire che è inutile che si affanni durante la lettura perché non la individuerà mai: davvero bisogna aspettare l’ultima pagina. La cronista Rosa Rossi, con la sua velocità intuitiva non disgiunta da una sorta di umanissima ingenuità, piano piano riesce a comporre questo puzzle davvero molto strano, nel quale spiccano la precisione di Maiolo nel tratteggio del mondo della magistratura milanese; e si scorgono qua e là le consolidate inclinazioni garantiste e femministe dell’autrice. Il tutto avviene sullo sfondo di una Milano cólta nei primi mesi dell’anno, dal freddo di Capodanno al primo tepore primaverile, una Milano – Tiziana Maiolo lo suggerisce – che ne ha viste tante, specie da quell’enorme palazzo di giustizia nel quale pulsa di tutto, persino qualche sprazzo d’amore.