Ma gli italiani avevano da un pezzo mangiato il frutto proibito e volevano fare sesso, parlare di sesso, sdoganare il sesso, avere una testimonial femmina sia per le femmine che per i maschi che usavano (senza saperlo) lei per farlo sapere: applaudire una donna che canta la gioia nell’orgasmo e che spacca il tabù assoluto secondo il quale – ancora allora – la donna tutt’al più può invocare lo stato di vittima sopraffatta dall’irruenza di un maschio infoiato che lei avrebbe dovuto, ma non ha saputo tenere a freno malgrado avesse graffiato e scalciato. E invece – eccola là – più arrapata dei maschi ma in un modo che è soltanto femmina, canta l’amore, lo pratica e ne testimonia la temuta leadership femminile. Canta “È l’uomo per me”, flirta allegramente con attori allegri e spudorati come Alberto Sordi (per cui canta il tema di “Fumo di Londra”), canta una canzone femmina e geniale scritta per lei da Lina Wertmuller, si offre “Come tu mi vuoi”, dà la spinta decisiva a Fabrizio De André che aveva fino ad allora tradotto e cantato le canzoni di Georges Brassens e per lui porta al trionfo “La canzone di Marinella”. Nel 1978 dopo aver molto inciso per la casa discografica fondata col padre, decise e annunciò il ritiro dalle scene, prima di compiere quarant’anni. Poi, gode la propria scomparsa, amministra apparizioni fantasma, ama essere evocata e rievocata, essendo saggiamente viva e vegeta. E libera. Libera di non apparire come la vogliono le folle, libera di avere un corpo di un’altra età, libera di navigare fra passato e presente senza mostrarsi, con una disciplina che la rende sempre più irraggiungibile, benché canti ancora – su disco – con Adriano Celentano, ma dal suo aldilà terreno e invulnerabile. Ha venduto più di 150 milioni di dischi e i suoi video registrano decine di milioni di contatti, il che dimostra che da molto tempo Mina la Tigre si è assunta in un suo cielo ad amministrazione gioiosa e controllata, nei panni di vestale eterna riuscendo nel più prestigioso dei giochi di prestigio: sottrarsi all’invecchiamento, allo scempio dell’immagine, alla decadenza che non è mai arrivata. Dunque, manca anche a noi, ma non vorremmo mai che per soddisfare noi guardoni coetanei rompesse la sua clausura, lei che è autoimmune alle ingiurie della vita anche in questo momento di mortale stupore ed epidemica angoscia. Mina è ben viva e ci aspetta a fine pandemia: in fondo, dopo la catastrofe di un secolo per la febbre “Spagnola” che uccise centocinquanta milioni, non seguì la depressione psichica globale, ma il Charleston, il Grande Gatsby, le gonne corte di perline e capelli a caschetto, la voglia di follia di quegli altri Anni Venti, e Mina è già là.
Mina fa 80 anni, mito della musica che creava stupore e se ne stupiva
