“Minacce No Green Pass a Sala? Io giro con la rivoltella”, Gabriele Albertini sulla scorta al sindaco di Milano

GIULIANO PISAPIA E GABRIELE ALBERTINI EX SINDACI DI MILANO, GIUSEPPE BEPPE SALA SINDACO DI MILANO

Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano, quando esce di casa ha sempre con sé tre cose: l’orologio, il cellulare e la rivoltella. Proprio così: una pistola. Perché “mi sento più al sicuro”. Lo ha raccontato come una sorta di lascito della sua attività pubblica, politica e sociale, e degli anni di piombo, del terrorismo, della tensione: delle minacce ricevute negli anni. Un’usanza, viene da pensare, comunque in voga nella destra ambrosiana: il candidato Luca Bernardo ha ammesso la scorsa estate, in piena campagna elettorale, di girare con la pistola e di portarla anche all’Ospedale Fatebenefratelli, dove è primario di Pediatria. Di portarla quindi con sé ma mai in reparto.

Albertini, della sua abitudine, ha parlato in un’intervista a Il Corriere della Sera Milano: interpellato sulle minacce recapitate al rieletto sindaco di Milano Beppe Sala sulle chat Telegram dei gruppi No Green Pass. Minacce di decapitazione, caccia all’indirizzo dell’abitazione del sindaco tra le altre nefandezze. Dopo la denuncia di Sala è stata innalzata la vigilanza attiva su di lui e sulla sua famiglia: con pattuglie a passare più spesso nei pressi della sua abitazione e maggiore attenzione agli eventi cui parteciperà. Il primo cittadino ha chiarito ai vertici delle forze dell’ordine di non volere la scorta.

Albertini invece è stupito dal fatto che Sala non sia già sotto tutela. Ha espresso solidarietà al sindaco e gli ha consigliato di accettare la scorta. “È un uomo ragionevole, dovrà sopportare questa situazione con pazienza. Il sindaco è un ruolo di grande esposizione. E l’anomalia, ripeto, è che finora non abbia avuto una scorta. Se ce l’hanno i ministri, anche quelli senza portafoglio, non vedo perché il sindaco di Milano non debba essere protetto”. Quando era lui a guidare Palazzo Marino, dal 1997 al 2006, Albertini non portava la pistola perché seguito da un servizio di vigilanza di tre carabinieri. Adesso ha il porto d’armi e lo rinnova ogni anno.

“All’inizio del mandato giravo la città in Vespa. Dopo l’omicidio di Massimo D’Antona mi chiamò però il capo della polizia per annunciarmi che mi avrebbero assegnato una vigilanza di tre uomini. Ma ero finito al centro delle attenzioni delle Br fin dalla fine degli anni 70, per la mia attività in Confindustria. Dal covo di via Monte Nevoso si è scoperto che i terroristi mi pedinarono anche per un certo periodo. Grazie al fatto che stavo spesso fuori città dalla mia fidanzata di allora mi lasciarono poi perdere. Ero a capo della Piccola Industria di Milano. I miei omologhi di Genova e Torino sono stati gambizzati. Erano anni terribili, tanto che io ho il porto d’armi dal 1974”.

Era il clima generale, il terrorismo, più che le lettere minatorie a preoccupare. Quella di oggi è un’altra situazione, non per questo da sottovalutare: “Quelle di oggi mi paiono schegge impazzite di ribellismo con venature di patologie personali. Però i pazzi scatenati possono anche essere più pericolosi degli ideologi organizzati”.