Ha provato a resistere al freddo, con diverse ferite (fratture) e senza viveri, in attesa dell’arrivo dei soccorsi ma è morto probabilmente per ipotermia. Non ce l’ha fatta Corrado ‘Korra’ Pesce, l’alpinista italiano travolto venerdì 27 gennaio da una valanga in Patagonia, in Argentina. Secondo quanto riferiscono i media locali, il corpo senza vita del 41enne originario di Novara, è stato individuato, 40 ore dopo, grazie a un drone sul Cerro Torre, nelle Ande argentine, a una altezza superiore ai 3mila metri. Ieri le ricerche erano state sospese a causa delle pessime condizioni meteo.
Contattata dall’Ansa, Carolina Codo, medico argentino e responsabile del Centro dei soccorsi alpini di El Chalte’n ha ricostruito quanto accaduto: “Abbiamo potuto solo oggi ingrandire le immagini di un drone volato venerdì mattina nella zona dell’incidente. Si vede il corpo di Pesce scivolato 50 metri sotto la piattaforma dove aveva passato la notte con un compagno argentino. A quell’altezza, e senza protezione adeguata, la morte per ipotermia arriva dopo massimo due ore”.
“Korra”, così come veniva soprannominato (lavorava come guida alpina a Chamonix, in Francia), era in compagnia di un altro alpinista, Tomás Aguiló, suo compagno di cordata, quando è stato travolto dalla valanga. Quest’ultimo è riuscito a scendere, Pesce invece si è fermato in attesa di soccorsi perché ferito. Prima di farlo, oltre ad aver allertato i soccorsi tramite il suo in Reach, ha sistemato il 41enne italiano in una rientranza della parete chiamata “box de los ingleses”.
Sin dal primo momento, è apparso assai difficile raggiungere il luogo dove era bloccato Corrado Pesce. “Le notizie che abbiamo avuto dall’Argentina confermano che le ferite di Corrado era gravissime. Le fratture impedivano di muoversi. Ci hanno detto che non poteva sopravvivere a lungo. La zona dove e’ avvenuto l’incidente e’ pericolosissima, soggetta a continue valanghe”, dicono le guide alpine di Chamonix, in contatto con delle persone in Argentina. “
