Nasce Jusur, la rivista-ponte tra mondo arabo e occidentale

Oggi proporre una nuova rivista mensile di cultura, per di più internazionale e in diverse lingue, potrebbe sembrare un’impresa fuori dal mainstream del digitale. E tuttavia sfogliare i primi numeri di questa rivista suscita meraviglia.

Il politologo francese Olivier Roy, il linguista italiano Stefano Arduini, il filosofo canadese Charles Taylor; lo scrittore e filosofo spagnolo Ignacio Gómez de Liaño, lo scrittore e critico letterario argentino Patricio Pron, il teologo spagnolo Julián Carrón e l’arcivescovo inglese Rowan Williams a capo della chiesa anglicana dal 2003 al 2013: sono alcuni dei primi nomi coinvolti e i loro contributi appaiono di grande attualità.

Il direttore è Wael Farouq, intellettuale arabo già docente in diversi atenei occidentali, attualmente professore di Lingua e Letteratura araba all’Università Cattolica di Milano. “Jusur” è la prima rivista interculturale internazionale promossa e sostenuta dalla Lega Musulmana Mondiale.

Lei è il direttore di questa nuova rivista che ha mantenuto il titolo arabo anche nella versione italiana e in quella inglese: Jusur, che significa ponti. Guardando ai primi numeri, ci sono contributi importanti da esponenti della cultura araba, a cominciare dal segretario generale della Lega Musulmana Mondiale Al Issa ma anche importanti intellettuali occidentali, come Oliver Roy e di origine ebraica come Joseph Weiler. Lei nell’editoriale sottolinea il valore del dialogo interculturale.  Che cosa significa?

«Abbiamo mantenuto il titolo arabo Jusur per la rivista in tutte le lingue per la particolarità di questa parola. Jusur, che significa ponti, è una parola araba che traccia un percorso di incontro tra il verbo jàsara che significa “andare, passare attraverso” con il sostantivo “jasàra” che significa “audacia, coraggio del cuore”. Il nome “jusur” sintetizza l’essenza di un progetto che vuole lasciare spazio alla volontà e al desiderio delle persone di aprire nuovi orizzonti, attraverso un cammino che richiede il coraggio del cuore e che permette a chi scrive e a chi legge di essere a sua volta un elemento di connessione tra il mondo del presente in cui si vive e il mondo del futuro a cui si aspira.

La nostra non è in realtà una rivista di dialogo interculturale, ma uno spazio dedicato alla testimonianza del bello che si incontra in ogni cultura. Per questo, in tutti i numeri, mettiamo al centro il quotidiano e l’ordinario, come il cibo, cercando di far conoscere l’Altro attraverso la sua testimonianza. Di conseguenza, non è un dialogo in cui ci sono due parti che cercano di trovare un interesse comune o un compromesso per convivere, ma uno spazio di conoscenza che permette di andare oltre i limiti della nostra conoscenza dell’Altro. Le forma tradizionali del dialogo, infatti, sono limitate e il limite sono i nostri stereotipi e pregiudizi sull’Altro. Questa rivista invece cerca di aprirsi, ponendo la conoscenza dell’Altro come scopo finale del dialogo».

Quale riflessione è importante oggi dentro il mondo islamico e nel dialogo con gli altri mondi?

«Nel mondo islamico, ma anche nel mondo occidentale, dominano gli stereotipi sull’Altro che vengono sempre confermati da eventi come, per esempio, il rogo del Corano in Svezia e la corrispettiva reazione violenta in Iraq. Sono proprio questi i limiti di cui vorremmo liberarci. Il dialogo è stato spesso solo una reazione che parte dalla paura del conflitto o della guerra. Noi invece con questa rivista vorremmo che il mondo islamico vedesse che in Occidente c’è fede vissuta e vedesse la sua bellezza. Vorremmo liberare l’immaginario islamico dallo stereotipo del mondo occidentale ateo e senza morale che vive una libertà nata contro Dio e che continua a essere contro Dio. Perché noi crediamo che i valori della civiltà occidentale siano essenziali per il futuro del nostro mondo. Ecco perché non possono essere il soggetto di un dialogo che cerca il compromesso».

La religione è insieme un’eredità culturale ma anche qualcosa di sempre vivo, in dialogo con la storia. Oggi che contributo possono dare le religioni e le fedi alla costruzione di un mondo migliore?

«Il ruolo principale dell’esperienza religiosa è generare senso e significato per la vita, per ogni persona ordinaria nella sua quotidianità. Il problema più grande, oggi, è che le religioni spesso sono ridotte a forme, regole e rituali. Questa è la cosa che limita la possibilità per le religioni di giocare il ruolo più importante nella realtà del mondo di oggi».

Si fa una rivista quando si vuole lanciare un messaggio… Sicuramente lei si prende la responsabilità in prima persona di provare a farlo. Perché lei sente che i tempi sono maturi. Ma qual è questo messaggio, volendo sintetizzare?

«I tempi non sono mai maturi. La maturità dei tempi significherebbe la fine dell’agire umano nella sua realtà. Spero quindi che ciò che pubblichiamo nella rivista Jusur non sarà ricevuta come un messaggio, bensì come un invito a prendere parte a un cammino su una strada che accoglie tutti, diretti verso un futuro migliore e motivati dal desiderio del mistero che ci porta a una nuova terra mai immaginata prima».