Un intervento su otto eseguito da un robot entro dieci anni. È l’obiettivo – ambizioso e simbolico – del nuovo piano decennale con cui il ministro della Salute britannico, Wes Streeting, intende rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale (NHS). In un’intervista di sabato scorso al Financial Times, Streeting ha dichiarato che l’uso della robotica sarà “al centro della rivoluzione tecnologica” su cui si fonda la strategia laburista per la sanità pubblica. Una strategia che non si limita all’adozione di macchine per la chirurgia: si parla anche di automazione dei processi interni, robot per la gestione delle scorte mediche e, soprattutto, applicazione dell’intelligenza artificiale alle attività cliniche quotidiane, dalla trascrizione delle visite all’analisi dei dati.
Il cuore politico della proposta è chiaro: migliorare la produttività del sistema sanitario senza abbandonarne la natura pubblica. «Se non rendiamo sostenibile l’NHS, fallirà» ha dichiarato il ministro, ricordando che il modello britannico – servizio pubblico gratuito al momento dell’uso – è oggi “veramente in pericolo”. Ma nel Regno Unito la sostenibilità si misura anche sulla base di standard prestazionali. Per questo, dal prossimo anno, gli ospedali che non adotteranno tecnologie avanzate riceveranno meno rimborsi per le stesse procedure. È la cosiddetta “tariffa per le best practices”: un criterio premiale (e punitivo) che punta a chiudere lo spazio per i ritardatari, evitando che “alcuni ospedali forniscano cure peggiori a un prezzo peggiore”, come ha spiegato Streeting.
Il piano prevede che la chirurgia robotica diventi la norma in un numero crescente di reparti: otorinolaringoiatria, ortopedia, ginecologia, chirurgia toracica, urologia. Oggi solo un intervento elettivo su sessanta è assistito da robot, ma secondo il ministro, portare il rapporto a uno su otto è possibile. Anche grazie a un effetto secondario non trascurabile: la chirurgia robotica riduce i tempi di ricovero e recupero, e quindi libera posti letto e abbassa i costi. Un dato rilevante, considerando che il NHS è sotto pressione costante per le liste d’attesa, l’invecchiamento della popolazione e il sottofinanziamento cronico. Ma il piano del Labour non riguarda solo la sala operatoria.
Un altro asse di intervento è l’uso dell’IA per velocizzare la presa di appunti e la gestione clinica, tramite software di riconoscimento vocale e generazione automatica di sintesi. Streeting stima un possibile aumento di produttività dei medici del 20%. Ma il potenziale della tecnologia si scontra con almeno due problemi: da un lato il fenomeno delle “allucinazioni” (falsificazioni generate dagli algoritmi), dall’altro la non conformità di molti sistemi attualmente in uso con gli standard di sicurezza e privacy del NHS. A giugno, il Chief Clinical Information Officer del sistema sanitario ha diramato una nota d’allerta: troppi software AVT sono utilizzati senza approvazione, con rischi elevati per i dati dei pazienti.
Streeting ha promesso che il governo fornirà strumenti approvati e sicuri. Ma la transizione non sarà indolore. Il rischio, segnalano i responsabili della NHS Confederation, è che senza fondi di investimento iniziali, molte strutture non riusciranno ad aggiornarsi e resteranno escluse. «Serve un supporto centrale per evitare di penalizzare chi è già indietro» ha detto Matthew Taylor, ex stratega laburista e oggi alla guida dell’associazione che rappresenta le organizzazioni sanitarie pubbliche. Nel frattempo, il piano decennale verrà affiancato da ulteriori riforme: a partire da un nuovo piano per l’occupazione previsto in autunno. «Abbiamo accantonato il vecchio progetto sulla forza lavoro – ha detto il ministro – perché è stato scritto prima che ChatGPT fosse disponibile e oggi è già superato».
La nuova visione rovescia l’approccio: non più partire da quanti lavoratori servono per mantenere il sistema com’è, ma chiedersi “quale forza lavoro ci serve, con quali competenze, per il sistema che vogliamo costruire”. Se e quanto tutto questo sarà attuabile, molto dipenderà dai margini di bilancio, dai rapporti con il Tesoro e dall’esito delle prossime elezioni. Intanto, però, il Labour mette in campo un modello inedito di riforma sanitaria: una combinazione di innovazione, automazione e visione politica, dove l’intelligenza artificiale non è più solo uno strumento, ma il catalizzatore di un nuovo patto tra Stato e cittadini.
In Italia, intanto, l’adozione di tecnologie avanzate nella sanità pubblica procede in ordine sparso. Mancano un piano nazionale organico, una visione strategica sull’impiego dell’intelligenza artificiale e – soprattutto – un investimento strutturale nella trasformazione digitale del SSN.
Se da un lato alcune eccellenze ospedaliere sperimentano già robotica e automazione, dall’altro la maggior parte delle strutture è alle prese con carenze di personale, edilizia obsoleta e un gap digitale che rischia di ampliarsi. Senza un disegno politico chiaro, il rischio è che l’IA – anziché strumento di equità e universalismo – diventi l’ennesimo fattore di diseguaglianza tra Nord e Sud, tra chi può innovare e chi resta indietro. E mentre il Regno Unito si interroga su come “robotizzare” il pubblico per renderlo sostenibile, in Italia il dibattito resta fermo alla spesa corrente.
