Il monastero si apre al pubblico, la clausura diventa linguaggio dell’arte: domenica 1 maggio, dalle ore 11.00 alle ore 14.00, avrà luogo l’inaugurazione di “Neralbe”, il progetto dell’artista e regista Luisa Corcione, curato da Anna Cuomo e accompagnato da testi di Giovanni Chianelli e Giovanni Conforti trasformati in una traccia audio interpretata dall’attrice Noemi Francesca, che sarà ospitato fino al 30 maggio negli spazi del Monastero Santa Maria in Gerusalemme, conosciuto come Monastero delle 33 (Via L. Armanni 16, Napoli). Dipinti, installazioni, sculture, momenti di poesia e prosa più danza e un dj set con musiche originali di La Claud, in compagnia di alcune monache. Per una volta i visitatori potranno conoscere da vicino la clausura.
In occasione dell’opening, alle ore 12.00 nelle cantine del monastero Santa Maria in Gerusalemme è prevista una performance inedita in cui lo spazio monastico sarà trasformato in un luogo in cui la commistione tra arti si compie organicamente: la danzatrice Francesca Fogliano si esibirà in una coreografia di Fabrizio Varriale, diretta dalla Corcione, su testo di Enrico Manzo e musiche di Marco Vidino.
Luisa Corcione offre modalità ibride e aperte per riconsiderare il concetto stesso di clausura. La vincitrice del “Fringe” 2021 con il pluripremiato spettacolo teatrale “Camille”, da sempre impegnata anche nella pittura, nella scultura e nei diversi linguaggi dell’arte, dichiara: “Parlando con le monache ho provato a riconsiderare in modo laico l’essenza nell’idea comune di clausura. Ne è venuto fuori che non è un negarsi al mondo ma, diciamo, alle cose del mondo: per poter mostrare al mondo stesso la strada del colloquio ininterrotto con Dio. Dunque è altro dal distanziamento ma un modello di apertura al creatore cui si invitano gli altri, magari non direttamente ma mostrando un esempio, è il contrario dell’eremitaggio. Stimolante in chiave artistica”.
L’intervento artistico è un modo per scoprire i fasti del luogo, dall’origine leggendaria legata ai miti di Leda e il cigno, fino alla figura della fondatrice, Maria Lorenza Longo, che ha dato vita anche all’ospedale degli Incurabili da poco giunto al 500esimo anno.
Il progetto è stato possibile grazie alla disponibilità delle monache del Monastero, col prezioso e determinante apporto della giovanissima suor Paola Maria Velotto, e in collaborazione con la onlus “L’atrio delle trentatrè”.
“L’installazione ricostruisce tramite interventi poetici, narrativi, pittorici, scultorei e performativi le suggestioni che derivano dalla percezione di un’assenza associata all’idea corrente di clausura – spiega la curatrice – Il progetto nasce dall’interesse per la storia del sito a partire dalla specificità sociale del contesto in cui sorge: dal legame mitologico con la nascita di Castore e Polluce, alla profonda fede che spinge la nobildonna Maria Lorenza Longo a fondare il primo monastero il cui accesso non prevedesse il pagamento di una dote. La Longo sceglie di dotare il centro cittadino di un luogo di contemplazione comunitaria dove la presenza di un nucleo di donne volontariamente dedite alla preghiera potesse generare in maniera invisibile ma fattiva rinascita e rigenerazione”.
E ancora: “L’installazione sembra emergere dalla stessa pietra che compone la struttura architettonica, pietra che sembra avere inglobato le esistenze delle sue residenti, apparse per frammenti nell’installazione dell’autrice. Luisa Corcione rende nuovamente presenti con l’arte queste figure sparite nell’autoisolamento dalla società, scelta che nella pratica spirituale si connette impalpabilmente, e in maniera incomprensibile ai più, alla sfera dell’impegno pubblico. La performance della danzatrice Francesca Fogliano su coreografia di Fabrizio Varriale, ricuce la frammentarietà del loro passaggio e diviene ulteriore testimonianza della volontà di indagare la percezione del concetto attuale di clausura e quello di arte, nelle sue più tangibili ed effimere forme”.
I testi di Giovanni Chianelli e Giovanni Conforti si trasformano nella traccia audio interpretata dall’attrice Noemi Francesca costituendo una sonorità che sembra venire dal diaframma del monastero, mentre le pitture di Luisa Corcione mantengono un carattere figurativo sconfessato dai panneggi che le rendono scultura: i drappi che riprendono le tonache delle monache ma anche quelli che costituiscono le quinte dei palchi, testimonianza che la mostra non possa prescindere nelle sue evidenze dalla matrice teatrale che caratterizza la sua pratica. L’intero progetto si propone di comunicare quanto quelle spose non celebrate pubblicamente non siano sparite, ma siano vive e operanti in un silenzioso processo collettivo di riconnessione con il mondo.
