Il Vaticano elenca in 20 punti i criteri per un accesso giusto e universale ai vaccini, per un mondo più equo e sano e soprattutto per dire no a ogni “nazionalismo vaccinale”. Dopo il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 21 dicembre, dopo i pronunciamenti della Pontificia Accademia per la Vita del 2005 e del 2017, con l’intermezzo di un altro testo della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2008, la questione dei vaccini viene collocata ancora una volta al centro della riflessione della Santa Sede attraverso un documento congiunto del Dicastero per il Servizio allo Sviluppo Umano Integrale e della Pontificia Accademia per la Vita, nell’ambito della Commissione Vaticana Covid-19. Il testo affronta le problematiche e le priorità emergenti nelle diverse tappe del processo del vaccino, dalla ricerca e lo sviluppo fino ai brevetti e allo sfruttamento commerciale, passando per l’approvazione, la distribuzione e l’amministrazione. Si ribadisce di nuovo l’essenziale ruolo dei vaccini per sconfiggere la pandemia, non solo per la salute personale individuale, ma per proteggere la salute di tutti. E si ricorda ai politici che i vaccini devono essere forniti a tutti in modo giusto ed equo, dando priorità a coloro che ne hanno più bisogno. Facendo eco al recente messaggio di Natale di Papa Francesco, il documento invita i leader mondiali a resistere alla tentazione di aderire ad un “nazionalismo dei vaccini”, esortando gli Stati nazionali a cooperare – e non a competere – tra di loro. Il cardinale Peter K.A. Turkson, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che guida la Commissione, ha detto: «Siamo grati alla comunità scientifica per aver sviluppato il vaccino in tempi record; ora sta a noi garantire che sia disponibile per tutti, specialmente per i più vulnerabili. È una questione di giustizia. Dobbiamo dimostrare una volta per tutte che siamo un’unica famiglia umana». «L’interconnessione che lega l’umanità è stata rivelata dalla pandemia Covid-19», ha ribadito l’arcivescovo Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita. «Insieme alla Commissione, stiamo lavorando con molti partner per rivelare le lezioni che la famiglia umana può imparare e per sviluppare un’etica del rischio e della solidarietà per proteggere i più vulnerabili della società». «Siamo a un punto di svolta nella pandemia Covid-19 e abbiamo l’opportunità di iniziare a definire il mondo che vogliamo vedere dopo la pandemia», nota mons. Bruno-Marie Duffé, Segretario del Dicastero. «Il modo in cui i vaccini sono distribuiti – dove, a chi, e per quanto – è il primo passo che i leader globali devono compiere nell’impegno per l’equità e la giustizia come principi per costruire un mondo post-Covid migliore», sottolinea Padre Augusto Zampini, Segretario aggiunto del medesimo Dicastero vaticano.
Particolarmente importante il passaggio in cui si parla dei “brevetti”, perché il vaccino va inteso come un prodotto da far rientrare nella categoria del “bene comune”, e da qui l’importante invito a non seguire la logica del “nazionalismo vaccinale”. “Collegata al tema della produzione è anche la questione della brevettazione. Infatti, il finanziamento della ricerca ha seguito percorsi diversi, nella modalità sia dell’investimento di risorse pubbliche da parte degli Stati (direttamente per la ricerca o nella forma di acquisto previo di una certa quantità di dosi), sia di donazioni da parte di enti privati. Vi è quindi la questione di precisare in che modo il vaccino possa effettivamente divenire un «bene comune» (common), come già è stato detto da diversi responsabili politici (es. la Presidente della Commissione Europea). Infatti – prosegue il documento – in quanto non si tratta di una risorsa naturale già data (come l’aria o i mari) o scoperta (come il genoma o altre strutture biologiche), ma di una invenzione prodotta dall’ingegno umano, è possibile sottoporla alla disciplina economica che consente di retribuire le spese della ricerca e il rischio che le imprese si sono assunte. Data la sua funzione è, però, molto opportuno interpretare il vaccino come un bene a cui tutti abbiano accesso, senza discriminazioni, secondo il principio della destinazione universale dei beni, menzionato anche da Papa Francesco: «Non possiamo neanche lasciare che il virus dell’individualismo radicale vinca noi e ci renda indifferenti alla sofferenza di altri fratelli e sorelle… mettendo le leggi del mercato e dei brevetti di invenzione sopra le leggi dell’amore e della salute dell’umanità». Il solo obiettivo dello sfruttamento commerciale non è eticamente accettabile nel campo della medicina e della cura della salute. Gli investimenti in campo medico dovrebbero trovare il loro più profondo significato nella solidarietà umana. Perché ciò sia possibile – prosegue il testo del documento in questo importante passaggio – occorre individuare opportuni sistemi che favoriscano la trasparenza e la collaborazione, invece che l’antagonismo e la competizione. Va quindi superata la logica del «nazionalismo vaccinale», intesa come tentativo dei diversi Stati di avere il proprio vaccino in tempi più rapidi come forma di prestigio e di vantaggio, procurandosi comunque per primi la quantità necessaria per i propri abitanti. Sono assai auspicabili e da sostenere accordi internazionali per gestire i brevetti in modo da favorire l’accesso di tutti al prodotto ed evitare possibili cortocircuiti commerciali, anche per mantenere il prezzo calmierato pure in futuro».
C’è infine da sottolineare l’importante passo avanti compiuto dalla Chiesa cattolica con queste prese di posizione sui vaccini. Viene superata l’obiezione alla liceità proveniente dai settori più tradizionalisti – per un certo tempo avallata da una parte del Magistero – dovuta al peccato originale di alcuni vaccini, prodotti facendo ricorso a cellule provenienti da feti abortiti. La Congregazione per la Dottrina della Fede il 21 dicembre ha correttamente chiarito che si tratta di materiale proveniente “da tessuti ottenuti da due aborti avvenuti nel secolo scorso”. La distanza temporale remota incide sulla valutazione e sulle caratteristiche del materiale genetico. Nelle argomentazioni dei conservatori e dei fondamentalisti cattolici (che virano al negazionismo…) il numero “due” non è specificato e preferiscono parlare in maniera generica di un numero imprecisato di feti abortiti. Il che produce impressione, raccapriccio e disinformazione, come se fosse una pratica ancora in atto o fatta apposta per sacrificare bambini in fase fetale sull’altare della scienza. La strada intrapresa dai documenti ricorda, piuttosto, che la rilevanza sociale e sanitaria della pandemia impone uno sguardo rinnovato verso la medicina e la scienza in genere. E qui effettivamente la Chiesa sta facendo un tentativo importante nell’individuare un ruolo positivo e propositivo nel mondo di oggi. I due documenti compiono un deciso passo in questa direzione, riannodando i fili di un dialogo positivo ed importante tra fede e scienza. Ed è un fatto nuovo.
No al nazionalismo dei vaccini, la salute è un bene comune
Pope Francis presides over the Via Crucis – or Way of the Cross – ceremony in St. Peter’s Square empty of the faithful following Italy’s ban on gatherings to contain coronavirus contagion, at the Vatican, Friday, April 10, 2020. The new coronavirus causes mild or moderate symptoms for most people, but for some, especially older adults and people with existing health problems, it can cause more severe illness or death. (AP Photo/Andrew Medichini, Pool)
