No al terzo mandato perché oltre i 5mila abitanti c’è il rischio di avere governatori assoluti

Nel “Si&No” del Riformista spazio al dibattito sul terzo mandato: “è giusto Estendere a tre il numero di mandati per i sindaci?”. Affrontano l’argomento il primo cittadino di Bari Antonio Decaro favorevole perché “così si dà ancora più potere ai cittadini” e Anthony Emanuele Barbagallo, deputato dem contrario perché “oltre i 5mila abitanti c’è il rischio di avere governatori assoluti”.

Qui il commento di Barbagallo:

Chi scrive ha avuto l’onore e l’onere, da giovanissimo, di fare il sindaco della propria comunità, Pedara: un incantevole comune ai piedi dell’Etna di 15.000 abitanti. So cosa vuol dire amministrare ogni giorno un piccolo comune, farsi carico dei piccoli e dei grandi problemi della comunità. Conosci ogni angolo del territorio, ogni anima, ogni persona. Vieni eletto, come è capitato a me – specie nelle piccole realtà – anche per la tua capacità di esserci, di ascoltare, di capire, di fare, di risolvere. È questa la ragione che mi ha spinto, nel corso della mia scorsa esperienza da deputato regionale all’Assemblea Regionale Siciliana, a presentare e sostenere un emendamento che prevedeva il terzo mandato per i sindaci dei comuni fino a 5.000 abitanti (in questa sede mi limito a ricordare ai lettori che nella Regione Siciliana vi è competenza legislativa esclusiva in materia di Enti Locali).

L’ho definita – questa – una norma di buon senso. E lo rivendico con forza, concettualmente e politicamente. Perché se hai bene amministrato una piccola comunità è giusto che questa possa rinnovarti, ancora una volta, il mandato per proseguire il percorso intrapreso. Ma allo stesso tempo, nel corso degli anni, ho sempre espresso contrarietà ad una estensione generalizzata del terzo mandato per comuni particolarmente popolosi. Cambia tutto: il contesto è differente, dimensioni diverse, rapporti diversi, spese e interessi diversi. La riforma che ha introdotto l’elezione diretta del primo cittadino è stata certamente una scelta opportuna poiché ha garantito maggiore stabilità al governo degli enti locali (capitava sovente infatti prima del 1992 che nell’arco di una sola consiliatura si alternassero diversi sindaci, alcuni dei quali finivano per restare in carica anche per poche settimane).

Tale modifica, però, secondo il mio punto di vista, a lungo termine ha finito per “sminuire” la portata della giunta comunale e l’influenza stessa dell’assemblea consiliare. Il rischio concreto oggi è che si producano taluni effetti distorsivi, con un declino verso governatorati assoluti e senza limiti di tempo.
Non solo, ma i comuni tradizionalmente rappresentano una “palestra” in cui si esercitano, anzi si formano, classe dirigente e ceto politico. È quindi fin troppo evidente che se si alimenta il ricambio, anche generazionale, evitiamo così il ricorso alla politica del “sempre gli stessi” (“le stesse facce”).
Tra l’altro di recente assistiamo ad una stucchevole pratica – come quella adottata di recente in Sicilia dal Centrodestra – per cui, alla vigilia di ogni tornata elettorale, vengono presentati e calendarizzati disegni di legge per l’estensione del terzo mandato a diverse categorie di comuni: è una tattica deplorevole per ritardare i processi politici e condizionare tantissimi amministratori uscenti.

Infine, il limite temporale per i sindaci fa il paio anche con diverse norme statutarie di alcuni tra i maggiori partiti italiani che impongono un limite consecutivo ai mandati parlamentari e che certamente rende più omogeneo il sistema dell’elettorato passivo nel Paese.